Interno giorno, colazione mattutina in mansarda torinese, sottofondo monocorde della tv rigorosamente su Rai 3 per le notizie locali, ascolto distratto, il caso vaccini la fa sempre da padrone. Ma a un certo punto qualcosa stona e distoglie l’attenzione da burro e marmellata. La città di Brindisi, quanto di più lontano possa esistere da questa nobile e altera terra sabauda, irrompe nello schermo. «Passa» il comunicato delle spaccate notturne, in pieno centro cittadino. Datemi il tempo di arrivarci, diamine. La mia rassegna stampa del mattino era ancora ferma al quotidiano nazionale. Ma questa notizia, riportata dal tg nazionale mi costringe ad un rapido atterraggio sul giornale brindisino. Il fattaccio mi richiama subito alla mente una scena alla Sergio Leone, città deserte attraversate da rotoli di erba delle praterie.
Il nuovo lockdown non ci voleva. E sì, razionalmente ci diciamo che è necessario, che i vaccini non ci sono per tutti (senza attivare lo spirito critico, ché bisogna anche avere la forza per farlo) ci chiediamo se avremo la forza e la pazienza per tollerare, ancora una volta questa vita mutilata.
Ci diciamo che forse pensare di non avere forza e pazienza è già un segno vitale, vuol dire che qualcosa in noi non si è definitivamente spezzato. E che invece dovremmo temere quell’umanità che ha disimparato a uscire, che vede il pericolo nel mondo esterno.
Perché si comincia così, ad accusare una categoria di persone, prima i corridori solitari, le famiglie con bambini, oggi i giovani, i genitori dei giovani, poi chi passeggia a distanza, si hanno le allucinazioni, si vede dappertutto gente senza mascherina. I «colpevoli» diventano sempre più numerosi e frammentati, siamo circondati, non sappiamo più a quale categoria «innocente» apparteniamo, l’unica via per l’autoassoluzione è quella di chiuderci in una dimensione solipsistica e scagliarci contro tutta l’umanità.
Dopotutto non possiamo avvicinarci, toccarci, andare a vedere l’ultimo film di botteghino, non esistono più i pranzi domenicali, i caffè al bar, le gite con gli amici, le passeggiate serali.
Siamo sempre più soli, chiusi nelle nostre case a parlare tramite uno schermo, la città un tempo viva e pulsante diventa il regno della criminalità, a Nord come a Sud. Le regole delle buone maniere, i convenevoli, i saluti, i sorrisi, tutta quella ritualità che distingue l’uomo civile dal selvaggio, tutto saltato. Scardinato dallo stato di necessità.
Abbiamo paura, il mondo ci fa paura. Un vaccino con effetti collaterali gestibili provoca una psicosi di massa e i governi non possono fare altro che, prudenzialmente, uniformarsi.
Il mondo intero come in un Monopoli impazzito, pesca la carta che ci riporta al Via. Si ricomincia … ognuno nella propria casella che diventa la nostra prigione. Mi chiedo, è davvero questo l’unico modo per vivere? Forse. Forse così sopravviveremo al virus, ma non sopravviveremo a noi stessi.
Valeria Giannone (Rubrica ALLEGRO MA NON TROPPO – Agenda 19 marzo 2021)
Zona rossa: terra di nessuno
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