Autore: L'angolo della cultura Rubriche

Viviamo il tempo del felicisimo

In questi nostri tempi grami, ove la superficie ha ormai spodestato la profondità, sarebbe alquanto incongruo proporre una riflessione sul concetto di felicità. Non è davvero più epoca di considerare «la gioia di vivere» alla stregua di un sentimento nobile e virtuoso, da ricercare con moderazione e giudizio. L’eudemonismo (eu-daimon) era una dottrina etica che, nientemeno, pretendeva di ricercare il bene-essere attraverso la pratica della rettitudine. Di questi «vecchi principi» parlava Socrate e scrivevano tutti i pensatori, da Epicuro a Platone, da Aristotele a Cartesio, e altri ancora. Ma da vari lustri a questa parte, partendo dall’edonismo della «Milano da bere», di quello delle postmoderne estati romane create dall’assessore Niccolini, da «Quelli della notte» e dalle grandi provocazioni del guru D’Agostino, si è affermata la spensierata weltanschauung delle notti magiche, dell’aperitivismo ad oltranza, delle mega discoteche da sballo, del’Arborismo e del Fiorellismo, del recupero di una dolce vita non più elitaria come quella felliniana ma aperta a tutti.
Proprio come oggi, nell’era del post Covid, anche allora, dopo la cupa tensione degli anni di piombo e la shoccante tragedia del caso Moro, la «ggente» si disimpegnò, inseguendo la chimera dei fuochi fatui della vanità e della spensieratezza a tutti i costi. Il traguardo della pazza felicità diventò così il mito universale, da raggiungere con gli strumenti della frivolezza e del carpe diem. Fu allora che iniziò il trionfo dell’effimero, nelle radio locali comincia a diffondersi l’happy music e il trend dei conduttori ebeti che ridevano alla grassa ogni minuto, con un tasso di euforia esagerato quanto fasullo. E fu proprio nella nostra «Ciccio Riccio» che nacque il termine «divertentismo», per un’intuizione di Maurizio Canepa perfezionata concretamente da Sandro Toffi. In televisione tenne a lungo banco la serie americana Happy Days e poi il caso Drive In, su Italia 1, scollacciato e rivoluzionario. Poco dopo nacque a Martina Franca il colosso Happy Casa, oggi sponsor della nostra gloriosa squadra di basket. Anche i compleanni si chiameranno da allora in poi «happy birthday», e il ricco finger food del preserale diventerà per sempre l’happy hour. Insomma, dittatura piena dell’«happism», il felicismo, che ha la la pretesa di essere una filosofia-scienza del piacere d’ordinanza «obbligatorio».
Il fenomeno è stato proposto all’attenzione dei lettori in vari saggi, tra cui spicca per acutezza d’analisi «La vita felice» di David Malouf. In ogni caso, non c’è bisogno di essere filosofi e sociologi per intuire che l’ossessiva ricerca della felicità perenne produce solo frustrazione e infelicità. Sentite cosa scrive Lucio Anneo Seneca al fratello Anneo Novato, proprio nell’incipit del suo libello «De vita beata»: «Fratello mio, tutti aspiriamo alla felicità, ma quanto a conoscerne la via, brancoliamo nelle tenebre. E’ così difficile da raggiungere che più ci affanniamo a cercarla e più ce ne allontaniamo. Fissiamo bene la meta e cerchiamo di raggiungerla con un percorso individuale. Infatti, non c’è nulla di peggio che seguire gli altri, come fanno le pecore, perché gli altri non ci portano dove dobbiamo arrivare, ma dove vanno tutti». «Meditate gente», avrebbe chiosato, ammiccando, il Renzo nazionale …
Gabriele D’Amelj Melodia

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