È passata un po’ in sordina quella che in realtà rappresenta una notizia importante per il nostro Paese. Qualche giorno fa, infatti, la Camera dei Deputati ha approvato il Testo unico delle proposte di legge in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, che prevede la così detta parità salariale, e che ora passerà al Senato per la seconda lettura. Per capirci, si interviene con una norma per colmare il divario retributivo che nel nostro Paese – e non solo – emerge troppo spesso tra gli stipendi dei lavoratori e quelli delle lavoratrici, equiparandoli per legge.
Si tratta di quello che all’estero chiamano «gender pay gap» e che la pandemia ha significatamene acuito, soprattutto nel nostro Paese, dove in media le donne guadagnano molto meno. Un range che va dal 5.8% – calcola il World Economic Forum – al 12% – stima l’Eurostat – di differenza rispetto ai colleghi maschi.
Eppure se osserviamo cosa avviene prima di approdare nel mondo del lavoro, sulla carta le donne sono più istruite degli uomini. Se consideriamo il possesso della laurea, ad esempio, le prime sono al 23% e gli uomini al 17%. Ma se si scava più a fondo, si vede che negli ultimi anni il numero di donne che decidono di intraprendere gli studi universitari dopo la scuola è crollato di quasi venti punti. Nel Mezzogiorno, ad esempio, dal 2008 a oggi il tasso di laureate è sceso dal 73,2% al 54%, un vero tracollo.
Le «dottoresse» meridionali, nonostante ciò, sono di più dei loro colleghi maschi, ma comunque molto meno delle colleghe del nord e del resto d’Europa. Ma a spaventare più di tutte, sinceramente, è la cifra di coloro che non studiano e nemmeno lavorano: quasi 900mila donne solo nel Mezzogiorno. Una metropoli, in pratica.
Da cosa dipendono questi numeri monstre? In primis da fattori culturali, da stereotipi di genere sul ruolo della donna nella società. E poi dall’assenza di buoni servizi di welfare, di assistenza sociale e supporto e – ovviamente – da politiche errate, che negli anni non hanno saputo inquadrare appieno i punti di intervento. E questo nonostante i problemi siano abbastanza noti: a cominciare dall’elevata differenza salariale, sopracitata, passando per il basso tasso di occupazione, con meno di una donna lavoratrice su due, fino all’alta percentuale di contratti part-time, praticamente la metà, e la mancata possibilità di fare carriera. Su quest’ultimo punto è emblematica la classifica Europea che vede l’Italia penultima per donne manager, con il 28%, avanti solo a Cipro.
Se guardiamo in casa nostra, i numeri della Puglia sono complessi: il tasso di lavoratrici è basso – solo un terzo del totale – e la disuguaglianza di genere per gli occupati è significativa: il 29% di occupazione in meno delle donne rispetto ai loro colleghi maschi. Un dato che ci pone tra le ultime regioni europee.
Anche per questo da alcuni mesi è stata approvata l’Agenda di genere, con la quale si coinvolgono tutti i Dipartimenti regionali nell’attuazione di interventi trasversali che riguardano le donne. L’obiettivo è anche quello di incardinare questi temi in nuovi documenti utili per la futura tranche di Fondi europei, del 2022-2027, e avere le risorse necessarie per cambiare rotta.
Andrea Lezzi (Foto fonte: https://www.sudefuturi-magazine.it/)
Società: donne del Sud, troppi ostacoli e poco lavoro
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