Domenica pomeriggio, mentre la TV trasmetteva una puntata di Kilimangiaro in cui si vedeva, tra l’altro, anche Katmandu, sfogliavo La Repubblica. Nel paginone mi imbatto nella vergognosa storia della prigione dorata del criminale nazista Kappler. Disgustato, butto via il giornale e penso … è tornato il fattore K! Negli anni della guerra fredda significava l’incapacità dei partiti comunisti europei di andare al potere. Negli anni di piombo si identificò invece con le famose scritte «Kossiga boia» (il prof sardo, all’epoca, era ministro degli interni). Questa lettera straniera è una consonante «occlusiva velare sorda» evocante durezza, a volte terrore e morte (kaputt, killer, kamikaze, ku klux klan, kalanshnikov), che, tuttavia, in virtù della sua ambiguità, si apre pure a significati esotici, dotti e letterari. Grafema colto (Sao ke kelle terre, kultur, krisis), è anche adatto per le sigle (k2,ok, ko, kg, km), per i marchi (Kelvin, K-way, Krizia) e per i nomi dei d.j. (Master KG, Kallit).
Sono stato sempre affascinato da questa lettera. Da bambino divoravo Krapfen, Kit Kat e leggevo Kipling, i fumetti di Kit Karson, Nembo Kid (nemico della kriptonite), Kriminal, Diabolik-Eva Kant e Sandokan (vi immaginate un “Sandocan”, roba da “quel fiol d’un can”Luttazziano!). Più grandicello, scoprii i primi turbamenti puberali con le bonazze Kessler e Kim Novak, ma apprezzai anche il Maestro Kramer e il professor Beckembauer detto «Il kaiser». Da liceale fui folgorato dal tosto Karl Marx, del cui Der Kapital riuscì a digerire solo poche pagine, poi da Immanuel Kant, quello delle tre Kritic, coerentemente nato a Konisburg, e infine dall’originale, contraddittorio Kierkegaard. In quegli anni veneravo Luther King, leggevo l’allucinato Kerouc, il caustico Karl Kraus e, soprattutto Franz Kafka, un autore come me stregato dalle K (Nel «Castello» e nel «Processo» protagonista è il signor K). Anche a Roberto Calasso, il patron di Adelphi, piace la lettera K. Oltre ad aver scritto saggi su Kafka, ha tradotto «Detti e contraddetti» di Kraus e dato alle stampe un libro, «Ka», che non parla dell’utilitaria della Ford, ma di saggezza indiana (occhio, è uno dei testi più pallosi del nostro!). Ma torniamo al sottoscritto: la mia vita intellettuale ha avuto una naturale convergenza con la K: Mi piacciono da morire Kandinskij, Klee, Klimt, Kalho, addirittura ho simpatia per il tenero Kokoska, innamorato pazzo della sua bambola feticcio (Alma Mahler), e persino per il nobile-ignobile Balthasar Klossowski de Roia (sì, è Balthus, erotomane e pedofilo ma sommo pittore). Nella mia biblioteca troverete il guru Kagge, quello del silenzio, tutto Kafka, Stephen King, Kundera e ovviamente il Kamasutra, la bibbia dei gaudenti. Uno dei protagonisti letterari a me più caro è il prof Kien, il folle sinologo di «Auto da fé», capolavoro di un grande che si sarebbe dovuto chiamare Kanetti e non Canetti! Per finire, signori, vi ricordo che la autentica Kultur, al pari della pura intelligenza (Kopernik, Keplero, Kelvin, Karpov, Karparov,) non può prescindere dal karma di questa magica lettera: in principio non fu il logos ma il kaos (Esiodo), poi, solo trovando il kairos abbiamo conquistato il fattore K che oggi ci permette di parlare addirittura di Kampanistan (ma qui siamo davvero in pieno kitsch …).
Gabriele D’Amelj Melodia
Sì, è tornato il fattore K…
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