Brindisi non dimentica, non può dimenticare. Perché è praticamente impossibile cancellare dalla nostra memoria le immagini di quella mattina, il 19 maggio di dieci anni fa. Erano le 7.45 quando una bomba artigianale esplose davanti all’istituto professionale «Francesca Morvillo-Falcone», nell’orario dell’ingresso in classe, quando gli alunni si accalcano ai cancelli, salutano i genitori e si fermano a chiacchiere di fronte all’entrata. In quel caos felice di corse e schiamazzi, un boato sconvolse per sempre il destino di una famiglia e di un’intera comunità. Le risate, in pochi secondi si tramutarono in urla di terrore, il piazzale della scuola si trasformò in una distesa di quaderni bruciati e cartelle abbandonate. Un’immagine surreale per un luogo che, nell’immaginario collettivo, non dovrebbe mai fare da cornice a un attentato e che invece – in pochi minuti – divenne una trappola mortale per la povera Melissa e un campo da guerra per tante sue compagne, ferite dall’esplosione. La città si ritrovò in un attimo nei notiziari di tutto il mondo, una città stordita, incredula, quasi incapace di accettare ciò che stava accadendo. Alla confusione e allo sconcerto delle prime ore, però, fece seguito la fortissima risposta da parte della comunità e delle Istituzioni locali, dal Sindaco al Prefetto. Ci si ritrovò in strada quasi spontaneamente e poi con scuole e associazioni, a Brindisi e in tantissime altre piazze d’Italia e d’Europa. Ricordo ancora la chiamata commossa di un collega di Roma che mi disse che dovevamo andare in strada, dovevamo fare qualcosa. Uscendo da casa senza nemmeno pensarci indossai qualcosa che potesse legarmi alla città, una vecchia sciarpa biancoblu dei nostri tifosi, e corsi al Pantheon con tanta altra gente, un grandissimo nodo alla gola e tanta rabbia per una strage che sembrava non avere un perché. Era questo, dunque, lo stato d’animo di quei giorni, in cui furono proclamati tre giornate di lutto nazionale. Rapida e decisa fu anche la reazione dello Stato che assicurò il massimo sforzo in termini di risorse, mezzi e supporto logistico per le indagini. La risposta da Roma fu forte: i Ministri dell’Interno e della Giustizia arrivarono in città già nelle ore successive. Eppure, come noto, l’indagine si rivelò complessa, proprio per l’insensatezza del gesto che rendeva difficile inquadrare per bene la vicenda. Ma una delle più straordinarie operazioni di polizia, portate avanti da un team di forze congiunte, permise di individuare l’assassino. Il suo arresto poté alleviare solo in parte il grande dolore per quanto era accaduto. Di certo donava a noi tutti un gran senso di giustizia ma lasciava l’enorme rabbia per un’azione del tutto insensata e inutilmente cruenta.A dieci anni da questa immane tragedia sono numerosi gli appuntamenti organizzati in città. Una tre giorni di iniziative sportive e commemorative – dal 16 al 19 maggio – che terminerà con la cerimonia presso il «Morvillo-Falcone», che sarà preceduta dall’intitolazione della palestra a Melissa e da altri momenti (vedi locandina). Un’occasione per ricordare, con le scuole e i cittadini, questa ferita mai davvero rimarginata per la nostra città e per quella di Mesagne. Ma anche un momento prezioso per abbracciare la famiglia di Melissa, per essere vicini ancora una volta a Massimo e Rita, che in questi anni hanno mostrato una compostezza incredibile per un immenso e lacerante dolore vissuto sempre con enorme dignità. A loro e alle compagne di classe di Melissa, che con le loro famiglie porteranno dentro per sempre questa tragedia, va il nostro più grande abbraccio, nella consapevolezza che esserci, ricordare sempre quanto accaduto, aiuta tutti noi ad andare avanti.
In questi giorni ho pensato molto a questa storia e mi è venuto in mente che proprio qualche mese dopo la tragedia di Melissa, ad ottobre del 2012, dall’altra parte del mondo una bambina pakistana, della sua stessa età, fu ferita alla testa da un fondamentalista con arma da fuoco, mentre saliva sullo scuolabus. Fortunatamente, dopo una serie di interventi complicatissimi, la piccola Malala Yousafzai alla fine riuscì a salvarsi e oggi è un’attivista per i diritti umani e per l’educazione accessibile a tutti. In questi giorni in cui ricordiamo la barbarie di un attentato dinanzi a una scuola, c’è una sua frase che mi ha particolarmente colpito. Un invito a prendere mano i nostri libri e le nostre penne, perché «sono le nostre armi più potenti», perché «un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo». La dedico al ricordo di Melissa, affinché la scuola sia sempre un luogo di crescita e di cambiamento e mai di morte. Per cambiare tutti insieme il mondo con una penna e un quaderno, e non con le bombe e la violenza.
Andrea Lezzi (Rubrica BRINDISI VISTA DA ROMA – Agenda Brindisi 13 maggio 2022)