Autore: Rubriche Vista da Roma

Quel gran genio di Gigi Proietti

Non è solo Roma che piange uno dei suoi figli più noti e rappresentativi, erede della sua storia più radicata e genuina, ma è l’Italia intera che perde un artista gentile, poliedrico e raffinato, sempre al passo coi tempi ma mai fuori dalla tradizione, ironico e mai volgare. La notizia della morte di Gigi Proietti, scomparso – ironia della sorte – nel giorno del suo ottantesimo compleanno, mi ha colpito profondamente. Era probabilmente uno degli ultimi grandi protagonisti della generazione di «artisti tuttofare» e io l’ho visto sempre come parte di quella compagnia di geni dell’Italia più bella: da Mastroianni a Gassman, dalla Vitti a Tognazzi, fino a Totò ed Eduardo.
Amavo la sua capacità di rendere reale e vicino allo spettatore qualsiasi suo personaggio. In un secondo riusciva a passare dalla comicità popolare alla riflessione impegnata, a commuovere con un tormentato Trilussa e far ridere con uno scapigliato Mandrake. Era il rassicurante Maresciallo di provincia e subito dopo il caratterista dalle mille imprevedibili imitazioni. Ed è anche per questa straordinaria abilità, e per la sua nota testardaggine, che riuscì a concretizzare quel grande sogno che fu il Globe Theatre, uno dei progetti d’arte più suggestivi del Paese. Un luogo magico e amato, copia dell’antico teatro londinese, realizzato nel 2003 al centro di Villa Borghese.
Un’idea con cui Gigi Proietti volle riportare sul palco il classico dei classici, quello Shakespeare che molti definivano ormai fuori moda, se non addirittura fuori mercato. Ed è lì, invece, che scena dopo scena, replica dopo replica, sono rinate le tragedie e le commedie elisabettiane più belle. Ed è lì, oltre che al Brancaccio, che amava incontrare il suo pubblico, in quelle estati di teatro e dibattiti che caratterizzavano la bella stagione della Capitale. In quella Capitale del «modello Roma» in cui la cultura rappresentava l’elemento dominante delle politiche cittadine. Una stagione di una vivacità impressionante, che contrassegnava le giornate alla Festa del Cinema, le domeniche sull’Appia antica o alla Casa del jazz, all’Auditorium Parco della Musica o al Flaminio, ripensato come centro pulsante della cultura made in Roma.
Di questa città lui è stato protagonista. Ma non solo, la grande e innata abilità di Gigi Proietti era proprio quella di essere soprattutto un figlio della Roma di strada, da cui sapeva apprendere e riportare in scena le più belle peculiarità. La Roma di un tempo, dei sonetti e delle trattorie, dei quartieri popolari, ma anche la Roma di oggi, delle periferie dove chiunque, dall’anziano al ragazzino, conosce una sua battuta, uno sketch, una barzelletta. Probabilmente era proprio in questa sincera umiltà, in questa vicinanza rassicurante alla sua gente, che emergeva la sua grandezza, come uomo e come artista.
Oltre ad essere un grandissimo attore, imitatore, autore, mattatore teatrale e televisivo, era un vero romano, amato dai tanti che incontrandolo urlavano dall’altra parte della strada «a Giggi» … e lui ricambiava col suo sorriso pieno e sornione.
Un intellettuale popolare, mai lontano dalle passioni del pubblico, colto ma sempre vicino alla gente, interessato alla cosa pubblica, schierato, ma mai divisivo nelle sue scelte sociali e politiche. Gigi Proietti era un genio, un’esplosione incontenibile di cultura e di contagiosa ilarità.
E da oggi, senza di lui, rideremo tutti un po’ meno.
Andrea Lezzi (Rubrica BRINDISI VISTA DA ROMA – Agenda Brindisi – 6 novembre 2020)

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