Autore: L'angolo della cultura Rubriche

Pudore, censura e libertà

C’era un volta l’ottusa censura, fondata sul principio della morale cattolica, dell’etica di Stato e del cosiddetto «senso del pudore». Per secoli gli stati autoritari hanno fatto da tutori ai loro sudditi sorvegliando e controllando costumi, mode, espressioni artistiche.
Nel 1559 Paolo IV fonda l’index librorum prohibitorum, abolito solo nel 1966 da un altro Paolo, questa volta VI (ma nelle parrocchie continuò per anni l’affissione all’albo dei film consentiti e di quelli vietati).
Le solerti forbici della censura hanno colpito sia romanzi che film. Per i primi ricordo «Ragazzi di vita» (1955) di Pasolini, «Porci con le ali» (1976) della coppia Radice-Ravera, «Altri libertini» di Tondelli (1991). Nel cinema la censura è stata ben vigile sin dagli albori. La prima pellicola nazionale a subire complesse vicissitudini censorie fu «Totò e Carolina», di Monicelli (1953). Nel 1961 fu la volta di Pasolini ad essere stoppato: il film incriminato era «Accattone» e fu il primo di una lunga serie («Mamma Roma», «Teorema», «Il Decameron», «Salò»).
Ma la lista dei film censurati è davvero lunga e comprende il caso più discusso di sempre: «Ultimo Tango a Parigi» di Bertolucci (1972) fu condannato al «rogo» nel 1976 e infine riabilitato nel 1987. Ricordo che quelli erano gli anni in cui in Italia esisteva ancora la «Buoncostume», attiva sino a tutto il 2000. L’incubo della mannaia moralista è finalmente cessato il 5 aprile 2021 allorché il Ministro della cultura Franceschini ha firmato il decreto che ha spedito in soffitta ogni tipologia di controllo preventivo e di misura limitativa nei confronti della libera espressione artistica. Rimane solo il divieto per i minori.
Anche i giornali hanno subito vessazioni e processi. Nel 1966 furono processati per oscenità gli studenti del Parini di Milano che, sul giornaletto scolastico «La zanzara», osarono fare un’inchiesta sul sesso giovanile. Furono tutti assolti. Altro caso emblematico fu quello de «Il Male» (1978-1982), settimanale satirico che subì varie denunce e processi per vilipendio.
Anche nella pubblicistica succede qualcosa di grave: di recente, una rivista culturale ha bocciato la versione integrale di un saggio presentato da un suo redattore perché «irriverente e irrispettoso della sensibilità femminile». Il testo, ben sforbiciato, è stato poi proposto per la pubblicazione. L’autore ha rifiutato i tagli di cesoia e, per soprammercato, ha subito ritirato la firma. Il saggio breve in questione, dal titolo «Elogio delle sublimi natiche», sarà ospitato su Agenda online grazie alla disponibilità del direttore Celeste. Saranno quindi i lettori ad esprimere l’ardua sentenza e a dire se il testo supera i limiti della decenza e del buon gusto.
Gabriele d’Amelj Melodia (foto tratta dalla rete: wired.it))

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