All’alba. Di mattina. In pieno sole. Al tramonto. Di notte. «Lui» è sempre là, imperterrito, instancabile, fiducioso. Sentinella del mare e guardiano delle canne (non pensate subito a male!), è fiero discendente del dio Glauco, il figlio di Poseidone. «Lui» è il pescatore dilettante, il fanatico della lenza, «lo sportivo» in stasi perenne che si sacrifica per portare a casa pesce fresco ai pargoli e roba puzzolente a moglie o compagna. Sfrattato dalla diga di Punta Riso, ha vagato come un’anima del purgatorio alla ricerca del posto «buono», in fine individuato, ma da tutti.
La parata delle «canne al vento» adesso si trova in fondo alla discesa ombrosa di via Tito Minniti, dove un cancello semiaperto è porta del «Paradiso dei pescatori», già deposito «catene», orribile definizione che richiama il titolo di un vecchio film con Amedeo Nazzari. In quell’area che il poeta Eliot avrebbe a ragione chiamato «Terra desolata» (ma per gli amministratori locali è invece una zona «nature» di gran pregio ambientale), attraversato lo spiazzo di erba secca, si arriva su quella striscia di basolato costeggiante lo storico canale Pignonati. E proprio lì, con opportuno distanziamento anti Covid e anti concorrenza, troviamo la nostra brava fila di «sportivi». Se ne stanno seduti, a sfumacchiare e a guardare il telefonino, circondati da varie canne pendenti, tristemente immobili. Ogni tanto danno un’occhiata d’ordinanza alle lenze un po’ allentate dal dolce far niente, poi si rituffano nel display.
Guardando la schiera degli speranzosi prendipesci, si nota subito qualche figura anomala che smentisce il comportamento pigro e rassegnato dei colleghi. E’ il classico soggetto iperattivo, nevrotico, con l’istinto del predatore inarrendevole. A torso nudo, con un paio di larghe braghe corte, un cappellino e un paio di occhiali da sole, zompa da una canna all’altra, saggia le lenze, si piega sulla magica cassetta e prende un piombo, quindi corre alla canna di destra, mulinella a tempo di record e cambia peso ed esca. Lancia con destrezza, e già corre all’estrema canna di sinistra, e poi ancora alle altre della sua batteria che ha tante canne da sembrare un organo. «Pesca, forza, tira pescatore / Pesca e non ti fermare», cantava la buonanima di Pierangelo Bertoli, e chissà se non si era ispirato ad uno di questi cannanti culla trenula.
Passano le ore, ma i secchi rimangono vuoti. Perché i pesci sono muti ma non fessi: stanno tutti dall’altra sponda, al sicuro. Finalmente giunge l’ora che volge al disio e le «faccette nere», divorate dal sole e dalla frustrazione, meste raccolgono armi e bagagli e raggiungono le auto posteggiate ad capocchiam nella viuzza. Tutto intorno restano i segni di una battaglia mai combattuta eppure tosta: cartacce, buste, scatole di cartone, bottiglie vuote e un penetrante odorino di pesce marcio apprezzato, forse, dai gabbiani. Ma un paio di cestini per l’immondizia no?
Bastiancontrario (Rubrica CONTROVENTO – Agenda Brindisi 4 giugno 2021)
Porto interno di Brindisi: «Aspetta e spera che già vopa di avvicina»
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