Autore: Attualità IN EVIDENZA

Medica, dottora o dottoressa?

Il mondo cambia, e cambia anche il linguaggio. Il lessico si evolve, si aggiorna, adeguandosi ai costumi e alle mode. Il “signor uso” spinge verso mutazioni sempre più ardite. I Dizionari fanno bene a “registrare” queste neo voci, perché questo fa parte della loro funzione, ma non impongono nulla. Semmai è la grammatica prescrittiva a mettere i paletti.
Perché a tutto c’è un limite. Come sono inaccettabili alcune scorrette “espressioni di massa” presenti sui social, al pari dovrebbero essere irricevibili le immotivate spinte a forzare i canonici suffissi femminili. Non è che siccome molti dicono “Ho uscito il cane”, tale abominio può essere accettato. Parimenti, anche se molte rappresentanti di quello che una volta si definiva “gentil sesso” (ora a usare questa locuzione idiomatica si rischia di essere bollati come maschilisti) cerca di rompere gli argini dei corretti suffissi femminili, non si dovrebbe cedere e concedere.
La battaglia è contro le desinenze in “essa” e “trice”, demonizzate perché ritenute avvolte da un alone di sfottò, di diminuzione e svilimento sociale. La foga rivoluzionaria partorisce autentici mostri quali “professora”,“pittora”, “rettora” ecc.Tutto questo per un’ illogica idiosincrasia verso il suffisso “essa” (forse si pensa alla “Presidentessa” di Feydeau). Questo odiato suffisso è curiosamente tollerato nel termine “studentessa” e nei titoli nobiliari. Il nostro provincialismo gretto e servile si nutre ancora di principesse, contesse e baronesse, quando invece, per coerenza, dovrebbe appagarsi del suono modaiolo dato dai vocaboli “principa, conta e barona”. Per quanto riguarda il finale in “trice”, il rigetto è determinato dal fatto che, in questo caso, l’associazione d’idee corre dritta allo scandaloso “meretrice”. Eppure siamo pieni di lavoratrici, amministratrici e lettrici! L’alternativa, il neo suffisso “ora” ha un effetto cabaret che sfugge ai giacobini nostrani. A voi suonano bene le definizioni di indossatora”,“stiratora”,“ispettora”,”operatora”,”relatora”,“direttora”?
Persino il programma di scrittura si ribella e li sottolinea in rosso! Oltrepassando ogni senso del ridicolo, si è arrivati al punto di suggerire la più linguistically correct (sic!) adozione del termine “cana” rispetto al tradizionale “cagna”. Per estensione, avremmo anche la “leona” e l’imbarazzante “topa”. Di questo passo si rischia che i cognominati “Di Cagno o Cagnazzo, chiedano di mutare i loro nomi di famiglia in “Di Cano, Canazzo” … Ma c’è dell’altro, perché la confusione regna sovrana! Qualche signora si definisce “poeta, scrittora, curatora”, qualche altra “direttore artistico e critico d’arte”, mentre le musiciste, le pittrici e le fotografe, ci tengono da morire ad essere chiamate “Maestro”. Orrida, grottesca Babele! I riformatori più audaci, fautori di un’istanza “non binaria”, vorrebbero tagliare la testa al toro e alla tora, abolire i generi e quindi adottare il neutro “agender”, un bell’ asterisco finale!
Non sorridete, car* concittadin*, perché questo nostro Bel Paese non è più quello “là dove ‘l sì suona”, ma, ormai da un pezzo, è diventato semplicemente “La terra dei cachi”.
Gabriele D’Amelj Melodia (Agenda Brindisi – 14 ottobre 2022)

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