Diciamola tutta: non sembra essere proprio il momento migliore per festeggiare la nostra bandiera. In una situazione emergenziale come questa, con risvolti drammatici anche per l’economia e il tessuto sociale, l’unico tricolore a cui sembrano pensare oggi gli italiani è quello delle zone covid. Tra regioni gialle, rosse e arancioni sembra davvero difficile trovare tempo e attenzione per pensare ad altro.
Eppure cade in questi giorni il 160° anniversario dell’Unità d’Italia, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera. Una celebrazione che, salvo la grande festa del 2011, per i 150 anni, si è spesso svolta in toni minori rispetto ad altre ricorrenze nazionali, non entrando nemmeno a far parte del calendario civile. Proprio in questa fase complessa, invece, l’iniziativa merita di essere commemorata per il suo grande valore simbolico.
Era il 17 marzo 1861 quando il Parlamento nazionale, formatosi qualche mese prima con le elezioni di gennaio, approvò, sanzionò e promulgò l’articolo unico con cui si affidava al Re Vittorio Emanuele II, e ai suoi successori, il titolo di Re d’Italia. Come noto, fu Torino la prima capitale del Regno, anche nel segno della continuità con la Corona. Circa ottant’anni dopo, paradossalmente, anche Brindisi si ritrovò ad essere Capitale d’Italia, nella fase più buia, e se vogliamo terminale, della stessa Corona. Corsi e ricorsi storici.
Eppure non avrebbe senso fermarsi alla mera celebrazione di questo Anniversario. L’intento non è quello di una rievocazione che oggi rischierebbe addirittura di apparire fuori luogo, nel pieno di una pandemia e di fratture sociali sempre più evidenti.
C’è una morale più profonda in questa ricorrenza, che oltre a commemorare l’impegno, il sacrificio, la vita di chi ha combattuto per fare l’Italia e contribuire al suo processo di unificazione, contiene un messaggio di speranza, di concordia, di resistenza. E non è un caso, a tal proposito, che in piena pandemia sia tornato proprio il tricolore a sventolare sui nostri balconi.
«L’Italia, colpita duramente dall’emergenza sanitaria», ha scritto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, «ha dimostrato ancora una volta spirito di democrazia, di unità e di coesione. Nel distanziamento imposto dalle misure di contenimento della pandemia ci siamo ritrovati più vicini e consapevoli di appartenere a una comunità capace di risollevarsi dalle avversità e di rinnovarsi».
Espressioni retoriche? Parole troppo pompose? Tutt’altro. Le frasi del Capo dello Stato ci dicono quanto di più vero e concreto. Raccontano un Paese che nei mesi scorsi si è ritrovato a condividere un dramma collettivo e che si è riscoperto vulnerabile ma anche estremamente solidale.
Restano in piedi, tuttavia, diverse criticità. Le ha sottolineate lo storico Emilio Gentile in una recente intervista. L’Italia dell’Unità è ovviamente cambiata, ancor più con l’epidemia: nell’idea di Stato così come di popolo, nei rapporti tra amministrazioni locali e Stato centrale, uscito rafforzato a discapito delle Regioni. E ancora, è forte l’impatto della Dad: in un Paese dove l’analfabetismo funzionale è a livelli altissimi le conseguenze di un anno senza scuola, o quasi, rischiano di essere nefaste per i ragazzi. E poi le nuove fratture prodotte dal Covid, che si aggiungono alle vecchie disuguaglianze. Da 160 anni, dunque, l’unità dell’Italia è compiuta, ma guai a darla per scontata. Le sfide, e le insidie, del prossimo futuro sono ancora numerose.
Andrea Lezzi (Rubrica BRINDISI VISTA DA ROMA – Agenda Brindisi – 19 marzo 2021)
L’Italia unità compie 160 anni
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