La cadenza quindicinale di questa rubrica inevitabilmente fa perdere le bollicine dell’attualità più frizzante. Il giorno seguente la scomparsa del divo Diego, preso da quell’irrefrenabile empito di spiritosaggine che a volte assale noi feisbucchini, ho postato questo semplice scritto: «Ma è vero che è morto Maradona? E com’è che se ne parla poco?». Pensavo, meschino, di aver esercitato della buona ironia finché, tra i commenti divertiti degli amici, è spuntato la glaciale chiosa di un tale che ha osservato: «Si vede che lei non ascolta i telegiornali! Si parla solo di Maratona». La risposta, fuori dal coro, mi ha dapprima divertito e subito dopo disorientato. Infatti, rileggendo bene, ha cominciato a rodermi il tarlo del dubbio sulla presunta ingenuità da me attribuita in primissima battuta a quel testo. Il compunto amico aveva scritto «ascoltato» anziché «visto», e «Maratona» anziché Maradona. Erano piccole sviste oppure indizi seminati a bella posta? Insomma, quella rispostina che pareva dovuta ad un’interpretazione letterale del mio post, era davvero sprovveduta o, invece, mascherava una vena ironica ben più sottile della mia? Perché l’autentica ironia («Eironeia, cioè dissimulazione») deve essere camuffata da non ironia, deve avere lo statuto dello «spiazzamento» e dell’interpretazione equivoca.
Non basta un primo livello basico di affermazione del contrario, la perfezione si raggiunge con subdole spruzzate di senso altro, elemento costitutivo del secondo livello di ironia, quello che appena arriva confonde la comprensione innescando quel seme di perplessità e di dubbio che è il sale della produzione autenticamente ironica e dello stesso circuito comunicativo tra il mittente ironista e i destinatari. In altri termini, mentre il mio post era di un’ironia banale, un po’ come quella benevolente e parrocchiale del Manzoni, il commento controcorrente «potrebbe» avere avuto una pregnanza di raffinata mistificazione, in quanto infusa di elegante ulteriore scarto ironico, non immediatamente percepibile in prima lettura. Il mio amico falso ingenuo come Ariosto, Schakespeare, Svevo, Swift, Palazzeschi e Soffici? («Palazzeschi, eravamo tre,/Noi due e l’amica ironia,/A braccetto per quella via /Così nostra alle ventitré» -Ardengo Soffici). Quesito che non potrà mai avere risposta certa, perché è davvero un opus incertum, che si presta a triplice lettura: A) Potrebbe avere un semplice valenza letterale priva di ogni sfumatura ironica; B) Potrebbe essere una arguta presa pro fondellis in linea con le migliori battute ambigue della tradizione classica. «Bruto è un uomo d’onore», esclama più volte Marco Antonio; C) Potrebbe, infine, rappresentare un caso di ironia referenziale, cioè involontaria, in quanto non intenzionale ma avvertita da (alcuni?) recettori.
Gabriele D’Amelj Melodia (Rubrica CULTURA – Agenda Brindisi 11 dicembre 2020)
Nella foto: Socrate, maestro d’ironia.