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Letture d’estate / L’emblematico Diego e il suo «io»narrante

Te ne stai lì, in un cantuccio della mia scrivania, chiuso, composto, con un’aria innocente che nulla fa presagire della tua vulcanica effervescenza. L’elegante copertina continua ad attrarre il mio sguardo, con la stessa malia con cui, per tre giorni, i caratteri impressi nelle 276 pagine hanno catturato i miei occhi e la mia mente. Quando si legge un libro non bisogna rincorrere nessun record di velocità. Anzi, il prodotto va degustato col metodo slow, per non farsi sfuggire alcun aroma e sapore. Ogni parola va gustata e masticata con cura, solo così si riesce ad apprezzare il più totalizzante appagamento del manicaretto letterario. Quello che ho da poco finito di sbocconcellare non è il solito romanzo, è qualcosa di più e di diverso. Un novel-diario-racconto lunghissimo-metaromanzo originale, tutto giocato sull’intreccio armonico di varie storie legate dal filo rosso della narrazione diretta formulata con l’incisiva tecnica dell’io narrante. Chi scrive è un «congegnatore» di libri di consumata perizia, abile nell’impiantare la struttura generale del racconto articolato in trenta capitoli dai titoli brevi e significativi, a volte introdotti da epigrafi riportanti versi di celebri song in lingua inglese. L’intreccio delle storie, tutte avvincenti, e la peculiare cifra stilistica improntata sulla leggerezza, sullo humour  e sulla vena ironica del Nostro, rendono la lettura di questo libro assai fluida e piacevole. La storia ha il ritmo giusto e i dialoghi sono tutti ben costruiti e agili. Ho trovato i personaggi che sfilano sulla passerella degli eventi tutti ottimamente tratteggiati, come ispirati da persone reali più che scaturenti da un processo d’invenzione fantastica. Deliziose le citazioni d’autore, colti i rimandi e gli echi letterari, segno inequivocabile che l’autore, lungi dall’essere un naif, ha una solida cultura di base e un’evidente frequentazione con saggi e romanzi del panorama internazionale.

L’amore per  letteratura ispanica e ispanoamericana viene subito a galla, considerato che molti dei personaggi di questa storia si chiamano Manuel, Isabel, Juan … E del resto lo stesso autore si chiama Diego, non Giuseppe o Michele. Insomma, noi siamo quello che leggiamo, ciò che sappiamo, ciò che abbiamo serbato nel nostro scrigno prezioso zeppo di varie emozioni e memorie. L’io narrante è quello di Diego, figura emblematica, tipo sornione praticante l’understatement, ma che, quando ci vuole, mostra carattere, perché non è affatto un «buonista» (un capitoletto si intitola appunto «Ma quale buonista»), è solo una persona garbata che, quando deve bacchettare qualcuno (Gigi D’Alessio, il giornalista televisivo brillante nell’eloquio ma «ciuccio» nello  scrivere, o i tanti aspiranti scrittori della domenica), ricorre sempre all’umorismo più raffinato, al gioco sottile dell’ironia e dell’autoironia. Diego (si noti che è il vero nome di Zorro e di Maradona) è anch’egli a suo modo un fuoriclasse: da uomo è un beato tra le donne, da editor e correttore di bozze è un vero Torquemada in guanti gialli: con suo pennarello rosso trancia e abbatte termini desueti, cacofonie, ineleganze,  virgole «in libera uscita» e puntini di sospensione a volte incongrui come peli superflui (per questo ultimo peccato, persino il fu Saramago incorrerebbe nelle sue censure). Da tutto questo ho tratto una lezione di vita: se nutrivo una qualche latente ambizione a scrivere un romanzo, ora, dopo aver registrato a quante insidie sputtanatorie è esposto l’aspirante scrittore, mi è passata ogni velleità … Ah, dimenticavo, Diego è Michele Bombacigno e il suo riuscitissimo romanzo si intitola «L’aggiustatore di libri» (Les Flaneurs Edizioni). Per me un vero fenomeno editoriale, e mi cruccio di averlo scoperto con diciotto mesi di ritardo. Ma, come diceva il maestro Manzi, «Non è mai troppo tardi!» (e anche questa è una frase citata nel libro).

Gabriele D’Amelj Melodia (Agenda Brindisi 22 luglio 2022)

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