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Lettera aperta agli anglofili

Caro amico/a ti scrivo, così mi sfogo un po’… I peccati di scimmiottamento di termini e locuzioni inglesi non sono certo cose recenti, ma con la globalizzazione e l’avvento della rete hanno raggiunto livelli di guardia preoccupanti, sino ad approdare a un accanimento inglesofilo sfrenato e gratuito,
Il prof. Tullio De Mauro, già nel 2012, parlava di «distruzione del linguaggio» come anticamera di ulteriori, progressive distruzioni, riferendosi alla storia, alle tradizioni, alla lingua e all’identità di un popolo. Ancora oggi i linguisti consigliando l’utilizzo di termini in lingua italiana al posto di quelli inglesi ogni volta che ciò è possibile, per ridare orgoglio e dignità alla nostra lingua nazionale che, fino a prova contraria, è la lingua ufficiale della Repubblica Italiana (art.1 Legge 482/1999).
Sgombriamo poi il campo da fraintendimenti: la difesa della nostra lingua non ha nulla di «ideologico» in quanto rappresenta il comune sentire di natura culturale e identitario e non rappresenta quindi rigidi steccati di chiusura verso quei «prestiti linguistici» che, se usati con misura, rappresentano un arricchimento delle potenzialità espressive. Quello che si contesta è l’abuso dei forestierismi, la loro patologica invasione nel linguaggio comunicativo e corrente. Si ritiene «moderno» infarcire il parlato o lo scritto di anglicismi vari, senza badare al contesto, alla funzione, ai destinatari. Molti ritengono «chic» scegliere un termine inglese, anworkingche se esiste un efficiente corrispettivo italiano. Errore! Questa opzione forzata è patetica, ridicola e assai provinciale. Alcune locuzioni poi, non sono neppure quelle originali, perché sono un’invenzione maccheronica (è il caso dell’abusato smart warking che in Inghilterra si definisce warking from home). L’uso reiterato e pervasivo di inglesismi può essere ammesso solo in ambito scientifico o tecnico-gergale, come codice linguistico ristretto a peculiari comunità internazionali. Viceversa, quando il messaggio riguarda l’informazione e ha la missione di raggiungere la comprensione di massa, l’uso di vocaboli inglesi diventa il nuovo latinorum di manzoniana memoria, assumendo connotati di grave scorrettezza. Se una Regione emette comunicati che fanno riferimento ad hub vaccinali anziché a centri vaccinali e a caregiver anziché ad assistenti familiari, vuol dire che ha fallito il proprio mandato socio-sanitario e politico. Se un’assessora, come la nostra Emma Taveri (foto), si ostina ad usare il linguaggio del marketing (commercializzazione) anche fuori contesto specifico (riunioni, documenti di lavoro, progettazioni), vuol dire che non si rende conto che la sua ansia di sprovincializzazione è quanto di più provinciale ci possa essere. Dichiarare che Brindisi sta diventando attrattiva proprio perché lei ha creato la divina locuzione «Seaty Beach», è affermazione paradossale e risibile al limite della provocazione. Non è «customizzando» la lingua italiana che si raggiungono obbiettivi apprezzabili. La brava e vulcanica assessora continui pure ad adoperarsi per trovare sponsores (sì, usiamo il più consono latino), investitori, marchi, per promuovere il territorio, finalizzare progetti e fare quant’altro necessario ma, per favore, ci risparmi i suoi anglicismi da lacchè d’Albione.
Bastiancontrario (Rubrica BASTIANCONTRARIO – Agenda Brindisi 11 giugno 2021)

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