Il porto rischia di morire e di rimanere sempre quello che è stato ed era: un porto naturale, infrastrutturato nei secoli passati e per ultimo, negli Anni ’60, al servizio di una zona industriale progettata in quegli anni al servizio della petrolchimica. È questa una preoccupazione diffusa tra gli operatori, i sindacati, le associazioni, le sensibilità e le competenze del settore. Il suo futuro non può essere ancora quello di sempre, assoggettato ad interessi che non creano sviluppo, come il progetto proposto da Edison o come i reiterati progetti di A2A per il sito della vecchia centrale insistente nel porto. Interventi seri per adeguare il porto alle esigenze di tutti i cambiamenti determinatisi in questi anni nella competizione portuale italiana e mediterranea sono stati molto pochi e qualche volta sbagliati e inutili o addirittura bloccati da logiche incomprensibili. Il porto di Brindisi rimane forse bello a guardarsi così come rimangono ancora intatte le sue potenzialità naturali e polifunzionali. Un porto, però, che così come è oggi, non è sufficiente per essere produttivo, attrattivo e competitivo. Il ritorno al passato sia quello dei turisti dei traghetti per la Grecia (anni 60/70/80) così come quello al servizio di una industria di base (petrolchimica e combustibili fossili) ha fatto il suo tempo e non è più proponibile. Le navi attuali di ultima generazione non possono più attraccare per mancanza di sicurezza, di fondali e di moderne infrastrutture. E questo vale anche per le navi crociere.
Il vecchio apparato produttivo industriale si sta ridimensionando e una parte di esso è in una fase dì esaurimento. Sono, poi, molto indicativi i dati della movimentazione delle merci e delle rinfuse di questi ultimi anni così come prive di futuro sono ormai le prospettive di alcuni settori come quello energetico. Gli allarmi degli operatori e le preoccupazioni dei sindacati impongono a tutti scelte coraggiose, tempestive e coerenti. Alcune domande andrebbero fatte a coloro che hanno una responsabilità decisoria. Il porto può rimanere lo stesso dei decenni passati? Le sue vecchie infrastrutture e spazi possono essere rifunzionalizzati? L’Enel, se si capisce, ha avanzato, per alcuni spazi e infrastrutture di sua competenza, alcune proposte che andrebbero verificate. Il mare è economia, strategia geopolitica, sicurezza, commercio, energia. Il mare mediterraneo dopo il recente raddoppio del canale di Suez, rappresenta una opportunità ritrovata in un’area ricca di risorse e dalle enormi capacità di sviluppo. Da qui passano già il 30% del commercio mondiale di petrolio, il 20% del traffico marittimo, un terzo del turismo mondiale. Un mercato di 500 milioni di consumatori sparsi in una ventina di Paesi. E Brindisi si trova qui. In tutto il mediterraneo nei vecchi porti, in Spagna, in Grecia e in Francia, è stata fatta una pianificazione da cui sono scaturiti investimenti strutturali e infrastrutturali. A questi porti se ne sono aggiunti di nuovi come quelli costruiti nel nord Africa che già intercettano notevoli traffici marittimi. Su molti di questi porti sono aumentate le attenzioni (e non solo queste) dei cinesi! Per non parlare poi dei porti del nord Europa. E noi a Brindisi assistiamo con una buona dose di inconcludenza e rassegnazione e con la testa rivolta al passato e agli interessi che lo hanno determinato, al porto che si avvia ad un declino diventando sempre più marginale anche rispetto alla portualità pugliese.
Presidenti e commissari del porto, amministratori locali e regionali che si sono susseguiti in questi anni non sono stati, e non lo sono ancora quelli di oggi, all’altezza delle potenzialità del porto. Si sconta l’inadeguatezza a non aver capito in tempo che la portualità, le navi, i traffici stavano cambiando con la globalizzazione e che i servizi e le infrastrutture del porto di Brindisi erano ormai datati. Si perde molto tempo a chiacchierare mentre si rimane paralizzati nella realizzazione di interventi nuovi e necessari per ridare attrattività e competitività al porto. Ma quello che è stato e tuttora è il maggiore limite è che non c’è mai una discussione serena e competente per decidere quello che può diventare il porto di Brindisi. Il rappresentante del comune di Brindisi che vive a Genova ha qualche idea? Il controllo dei traffici è nelle mani (nelle navi) dei grandi gruppi del settore che possono spostare direzioni e approdi. Sono necessarie riconversioni delle strutture e delle aree portuali a fronte di quello che è il lento esaurimento del vecchio apparato industriale brindisino.
Si parla tanto di Zone Economiche Speciali (ZES) e adesso di zona franca che potranno diventare funzionali (quando?) non certamente per le pur necessarie semplificazioni amministrative, per la quantità di aree inserite o la loro localizzazioni negli spazi del porto, quanto se esiste una efficace ed efficiente dotazione infrastrutturale in grado di aumentare la capacità operativa in termini di costi e di tempi. E il porto è centrale. Il porto di Brindisi si trova, però, in mezzo ad un “crocevia di poteri” che invece di interagire e cooperare, interferiscono. Una autorità portuale che si trova a Bari, un Consorzio Asi (ma ha ancora un senso tenerlo in piede?) con una potestà su aree retroportuali, la capitaneria di porto con tutte le sue funzioni, il comune che si trova con un porto dentro la città e che lo dovrebbe considerare uno degli asset del proprio sviluppo e del proprio assetto urbanistico. Se non si costruisce un approccio collaborativo e sinergico, il porto di Brindisi è destinato ad uscire fuori dai traffici più interessanti e redditizi per diventare sempre più residuale rispetto alla portualità del Mediterraneo e alla stessa portualità pugliese che nel frattempo continuano a spostare e ad attrarre vecchi e nuovi traffici. Allora la domanda che si devono fare coloro che hanno delle responsabilità amministrative, economiche, imprenditoriali, cosa si vuole che diventi il porto di Brindisi?
I porti sono attività economiche e come tali richiedono investimenti, adeguamenti e innovazioni continue. Le navi non sono quelle di una volta e richiedono infrastrutture, fondali, servizi diversi, qualificati ed efficienti, altrimenti o non arrivano o se ne vanno altrove. Forse è arrivato il momento per recuperare o riconquistare l’autonomia del porto di Brindisi dotandola di una propria autorità portuale rivedendo così la riforma Delrio. Regione, comune, provincia hanno nel Pd un protagonista determinante di governo. Questo partito ha qualche idea, ha delle proposte per salvare il porto e rilanciarne la funzione? Perdemmo la battaglia per una unica autorità portuale pugliese. La soluzione data con le due autorità, una a Bari e l’altra a Taranto, almeno per Brindisi, si è rivelata un disastro! Senza che questo diventi un alibi o giustifichi l’inerzia di comune, provincia e regione, si può riproporre e rilanciare la proposta per l’autorità portuale di Brindisi?
Qualcuno ha avanzato questa proposta. La si può prendere in considerazione? Secondo me è arrivato questo momento. È ora che si faccia chiarezza definitiva sulle infrastrutture necessarie e sui relativi investimenti per rendere tutte le banchine e le aree portuali, sulla loro fruizione compatibile e sostenibile. E questo lo si può e si deve fare a Brindisi evitando di fare, come nel passato, da “carta assorbente” di ciò che si decide e si scrive da qualche parte che non è certamente sempre coerente con un futuro produttivo del porto. La chiarezza deve andare di pari passo alla trasparenza e alla lungimiranza che in alcuni punti del “crocevia dei poteri” sembrano latitare. Che ci vuole per definire un piano degli spazi attuali e delle aree necessarie per nuovi, qualificati e sicuri servizi, liberandosi delle vecchie logiche e consuetudini? Insomma se il porto è un asset importante dello sviluppo di brindisi esso va reso produttivo e attrattivo di traffici, altrimenti non è un porto.
Carmine Dipietrangelo – Coordinamento LeftBrindisi