Che si interroghi il volo degli uccelli o i passanti al volo, la sostanza non cambia. Che il vaticinio provenga da una Pizia o da un politico di lungo corso, fa poca differenza. Non c’è una scienza esatta della previsione perché, quand’anche le analisi futorologiche fossero accurate, esse non sfuggirebbero alle leggi dell’indeterminatezza e del caso. Ecco allora l’antico rimedio dell’ambivalenza, della canalizzazione, a bivio o a ventaglio, in cui può inverarsi l’evento. «Ibis redibis non morieris in bello», questo è l’equivoco responso oracolare della Sibilla interrogato da un soldato. Risposta ambigua (appunto, sibillina), che dà facoltà all’interrogante di mettere la virgola dove meglio ritiene. «Noi stacchiamo la spina, ma siamo pronti a reinserirla nella presa» (Matteo Renzi). Il tutto nella grande tradizione degli ossimori e dei paradossi del Bel Paese (le «convergenze parallele» di Moro, l’«Io non mento mai, il Presidente del Consiglio non può mentire, per definizione», Berlusconi, 2006).
Siamo all’epilogo di questa ennesima crisi extraparlamentare (la numero 66 in 72 anni). Scrivo mentre ancora i giochi sono aperti, eppure non sono preoccupato. Non per incoscienza, ma perché l’esperienza insegna che, in questa Italia in cui nulla è più stabile del provvisorio, si trova sempre una soluzione in zona Cesarini, proprio come nella commedia dell’arte e nella farsa, di cui la politica italiota è diretta discendente (… «Ed ora che la commedia è terminata, chiediamo l’applauso di questo gentilissimo pubblico!»). Tutto sommato, sono stati giorni più che di trepidazione, di genuina eccitazione: noi cittadini siamo avvezzi a questi teatrini dell’assurdo, ai balletti parolai, ai duelli a colpi di cinguetii. Noi abbiamo bisogno di assistere a guasconate e sceneggiate ricche di colpi di scena, di veleni e vecchie marchette, di minacce rodomontesche e lusinghe demoniache, in un’alternanza di caroselli tra il folklorico e il circense. Questo gioco delle parti, questa manfrina, fa parte del «Facite ammuina» patrio e del nostro carattere portato al tragicomico, tratto ben rappresentato nella nostra pittoresca demopazzia. Lo sanno bene i politici come i giornalisti, ai quali non è parso vero poter fare scorpacciate di chiacchiere predittive per l’abbondante manna caduta dal cieco (Matteo il Guastatore). E che dire poi dei mummificati esperti che da decenni pontificano in tv? «Io fui da Partenope, io son Cirino il Pomicino» … «Son Clemente bestia e Ceppaloni mi fu degna tana». Conte con rimpasto, Conte ter, governo tecnico, governicchio, il catalogo è questo. Le elezioni non le vuole nessuno: anche i parlamentari «tengono famiglia». E «l’avvocato del popolo»? Niente paura, rimarrà ancora in piedi come Ercolino. Resta da vedere se sarà un insulso Conte di Rocca Cannuccia o un acuto Conte di Cavour.
Gabriele D’Amelj Melodia (Agenda Brindisi – 22 gennaio 2021)
L’arte di prevedere ciò che è ovvio
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