Ricorrono in questi giorni due anniversari molto significativi seppur diversi tra loro. Ce n’è uno in particolare che per ovvi motivi ci riguarda tutti da vicino, esattamente da un anno. Sono trascorsi dodici mesi, infatti, dall’inizio della pandemia nel nostro Paese. Una epidemia che all’inizio ci sembrava semplicemente lontana, qualcosa di distante migliaia di chilometri, con suoni esotici, numeri e dati sparsi in costante aggiornamento, appresi distrattamente dai telegiornali. In realtà sono poi bastate poche settimane affinché parole come Covid, o città come Wuhan, entrassero a far parte del nostro vocabolario giornaliero. Così come strumenti prima inusuali, come le mascherine o il disinfettante per le mani, diventassero parte della nostra quotidianità.
Era il 26 febbraio dello scorso anno quando il Presidente della Regione Michele Emiliano annunciò il primo caso di positività da coronavirus in Puglia. Si trattava di una persona della provincia di Taranto proveniente da quello che poi sarebbe diventato il tristemente famoso focolaio di Codogno, in Lombardia, dove si era recato in visita da amici.
Da lì a poco il virus avrebbe preso il largo in tutti i nostri territori, il resto è storia. Una storia che ci vede, ahinoi, tutti protagonisti e che nonostante i grandi passi avanti fatti dalla medicina e dalla scienza in questi mesi non vede – almeno per ora – una risoluzione rapida e definitiva.
Le nostre paure, i nostri timori per le incertezze del domani, in questi mesi sono aumentati e probabilmente anche mutati. «Nella prima fase del Covid – ha scritto Massimo Recalcati – c’erano l’ossessione del contagio e la reclusione. Poi l’ansia e l’incertezza del futuro. Ora ci servono ascolto e senso di comunità». Ed è proprio questo senso di comunità, così indispensabile per la vita di un territorio, che ho ritrovato come elemento essenziale di un altro grande avvenimento.
Sono passati trent’anni, infatti, dallo sbarco degli albanesi nel porto di Brindisi nel 1991. Dai primi arrivi di fine febbraio nei porti pugliesi, a bordo di quelle che ben presto iniziammo a chiamare «carrette del mare», fino all’esodo impressionante del sette marzo 1991. Quel giorno il nostro capoluogo venne pacificamente invaso da venticinquemila persone in fuga da un Paese ridotto sul lastrico. La reazione dei brindisini fu straordinaria, con una mobilitazione spontanea senza precedenti e un impegno e una dedizione unici da parte delle autorità locali, della Chiesa, delle associazioni di volontariato.
In questi giorni immergendomi nelle letture e nei ricordi di quelle settimane drammatiche che coinvolsero la nostra città ho potuto percepire un senso comune di appartenenza, quella grande umanità e quella solidarietà umana che alla fine sono parte del nostro modo di essere e – come dimostra questo episodio – anche della nostra storia.
In un bel reportage su L’Espresso Roberto Di Caro, a proposito della reazione della città in quei giorni del 1991, ha scritto: «… decine di migliaia di brindisini prendono l’iniziativa, si mettono in gioco, ribaltano una tragedia annunciata in una delle pagine più encomiabili della recente storia patria».
Nella ricorrenza comune di questi due eventi così diversi tra loro, dunque, credo ci sia un filo conduttore che vede nel grande senso di comunità – troppe volte perso di vista – l’unica possibile via d’uscita ai numerosi problemi sociali che attanagliano il nostro territorio. Dovremmo farne tesoro.
Andrea Lezzi (Rubrica BRINDISI VISTA DA ROMA – Agenda Brindisi – 26 febbraio 2021)