E’ nell’asse Torino-Salento che si è svolto l’episodio, durante la presentazione del libro di Lia Tagliacozzo, scrittrice ebrea, figlia di sopravvissuti ai campi di concentramento, che nel romanzo «La generazione del deserto» racconta la deportazione della sua famiglia. Libro pubblicato dalla editrice salentina Manni e presentato online dal Centro Studi ebraico di Torino. Succede che nell’incontro su Zoom, la piattaforma venga invasa da un gruppo di neofascisti che zittiscono l’autrice al grido di «ebrei ai forni», «sono tornati i nazisti», «vi bruceremo tutti», «dovete morire».
Dall’altra parte del mondo, qualche giorno prima, il Presidente uscente degli Usa, Donald Trump, provoca uno pseudo colpo di stato, con il suo carico di morti e feriti, tramite anche qualche tweet. Una banda di uomini mascherati penetra nel sancta sanctorum della democrazia mondiale, il Congresso degli Stati Uniti. E quando Twitter, in una ritardata reazione, decide di silenziare il sobillatore (e cosa se no?), da più voci viene invocata la democrazia, che dovrebbe riconoscere libertà di espressione a tutti, senza distinzioni. Persino Cacciari, il filosofo, seppure non si richiami all’istituto democratico, riconosce un vulnus nell’attribuire la facoltà di bloccare un account ad un imprenditore privato che agisca senza il necessario passaggio da autorità di governo. I social, la comunicazione virtuale, forniscono lo stesso mantello di impunità che nella macchina nazista si chiamava obbedienza agli ordini. La differenza è che il nazismo, macchina di sterminio organizzata e strutturata secondo le regole della burocrazia è crollato con l’attacco ai vertici del sistema. La rete, invece, non ha capi né padroni, ma una serie di flussi che grazie agli algoritmi possono essere convogliati in gruppi di pensiero o masse acritiche verso azioni le più disparate. Il mezzo comunicativo consente l’abbattimento delle norme del vivere civile, in una sociologia delle relazioni deviata e inesplorata, senza i filtri imposti dalla società. Un messaggio su facebook arriva scarnificato, senza sovrastrutture sociali, con il carico di odio allo stato puro, che si può riversare in un appartamento romano dove si presenta un libro sulla Shoa, o nel Congresso degli Stati Uniti. Per rispondere a Cacciari, non è uno scandalo che il tenutario della piattaforma decida dei suoi iscritti. In Italia, Berlusconi costruì la propria ascesa politica e dettò una nuova antropologia sociale con l’utilizzo del mezzo televisivo di sua proprietà. Ma sarebbe ingenuo non riconoscere la diversa portata in termini di diffusione e di capacità di influenza di una piattaforma a cui tutti possono accedere in un mondo interconnesso, rispetto a una Rete4. Per questo sarebbe necessario, per i nuovi mezzi, un ripensamento delle norme del loro utilizzo, che siano definite da un codice etico, approvato da organismi sovranazionali. Ma ancora più utile, un’opera di rieducazione comunicativa, oppure i social diventeranno il luogo cupo e arrabbiato dell’odio, teatro delle tensioni dell’umanità.
Valeria Giannone (Rubrica ALLEGRO MA NON TROPPO – Agenda Brindisi – 15 gennaio 2021)
La democrazia social dell’odio
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