Mi è capitato, qualche giorno addietro, di imbattermi – del tutto casualmente – nel drammatico video dell’incidente avvenuto la scorsa settimana sulla superstrada Brindisi-Bari, all’altezza di Fasano. Appena sveglio, come succede un po’ a tutti, ho l’abitudine di prendere il cellulare per scorrere le ultime notizie, leggere le notifiche, rispondere ai messaggi arrivati in tarda serata. Ed è in questo momento, in piena dormiveglia, che in una chat di gruppo, con un po’ di sonno e tanta leggerezza, ho cliccato il tasto play. È partita, dunque, una clip tanto breve quanto angosciante, che si concludeva col rumore terribile che crea l’impatto distruttivo di vetro, plastica e lamiere, tipico degli incidenti stradali.
Come noto, una vettura – con a bordo due fratelli di settantacinque e ottant’anni, entrambi deceduti nell’impatto – ha percorso per diverso tempo, in controsenso, la Statale 16, finendo la sua corsa contro una Mini. A registrare questo drammatico istante, e i secondi precedenti, vi è un video, girato dalla carreggiata opposta da un camionista. L’uomo ha commentato la situazione secondo dopo secondo, in una surreale telecronaca in cui, a delle vite che andavano incontro alla loro fine, facevano da accompagnamento parole buttate a caso.
Il video, in poche ore, ha fatto il giro d’Italia, passando da chat in chat, per arrivare poi sui siti d’informazione. Confesso che la cosa mi ha molto turbato. Quello della facile condivisione di materiali estremamente violenti è forse uno degli aspetti più controversi di questa epoca. A questo andrebbe aggiunta, poi, una riflessione sulla opportunità di trasformare in video qualunque cosa capiti sotto i nostri occhi.
Sembra che con un cellulare in mano ci si senta tutti autorizzati a riprendere le proprie vite, anzi quasi sempre quelle degli altri. Sembra che con questi strumenti tuttofare – dal video, alla regia, alla pubblicazione sui social – chiunque si senta in dovere di fare cronaca. Senza nemmeno interrogarsi su cosa voglia dire davvero fare cronaca.
La scorsa settimana a Palermo c’è stato un terribile incidente in pieno giorno, in cui due giovanissime hanno perso la vita. Mi ha sconvolto vedere che molti dei presenti affacciati ai balconi subito dopo l’accaduto hanno semplicemente preso il cellulare e premuto REC. Con sconvolgente leggerezza hanno immortalato sangue, morti, urla, insomma uno scenario da guerra. Questi video, del tutto non necessari, hanno poi iniziato a circolare ovunque.
Mi chiedo solamente: è giusto diffondere questi materiali? Ha senso alimentare questa pornografia del dolore che corre di telefono in telefono? Ha davvero un valore sociale registrare qualsiasi momento delle nostre vite, anche quelli che odorano di sangue e violenza? Certo, talvolta questi materiali possono diventare utili per le indagini. Ma il problema, difatti, sta tutto nella loro diffusione, nella carica virale che acquisiscono non appena fanno la loro comparsa in una chat.
Con la stessa facilità con cui io l’altra mattina ho premuto un tasto e mi sono svegliato con il rumore dei vetri in frantumi, anche tanti ragazzini si ritrovano a guardare e condividere con semplicità materiali raccapriccianti, crudi, brutali. Sembra che ormai la violenza venga praticamente data per scontata, sottovalutata, condivisa e commentata con leggerezza e risate. E con un click si passa tranquillamente da un video di gattini alla morte in diretta.
Andrea Lezzi (Rubrica BRINDISI VISTA DA ROMA – Agenda Brindisi 7 maggio 2021)
La condivisione tramite social: la morte «raccontata» in diretta
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