Autore: Attualità IN EVIDENZA

Il «sangue» dei nostri monumenti, storia di vandalismo e ignoranza

Il vandalo che, lunedì 4 marzo scorso, ha imbrattato con la vernice rossa l’antico portale marmoreo della chiesa di San Benedetto a Brindisi di certo ignorava di trovarsi al cospetto di uno dei più raffinati monumenti pugliesi di età medievale e, soprattutto, di esserne egli stesso proprietario. Un atto di deliberato vandalismo che nulla ha da spartire con presunte proteste di natura ideologica, come vorrebbe lasciare intendere la scritta rossa inneggiante alla «Palestina» ritrovata sugli scalini di accesso all’ufficio ecclesiastico. Un atto di vandalismo che ha interessato, in realtà, due luoghi centrali della vita religiosa cittadina: infatti, oltre a San Benedetto, è stato colpito anche il vicino Calvario, sulla cui soglia è stata ritrovata una ulteriore scritta rossa sempre inneggiante alla «Palestina».

Di casi del genere, più o meno eclatanti e ascrivibili a vandali con o senza disturbi psichici, se ne potrebbero citare a bizzeffe. Questa vicenda, tuttavia, offre l’occasione per una breve riflessione, introdotta da una domanda: quanti brindisini conoscono la storia e la funzione civile, oltreché religiosa, della chiesa di San Benedetto? E ancora: in quanti sanno che il complesso monastico venne fondato sulle rovine della vecchia città nel 1090 da Goffredo, primo «dominator» normanno di Brindisi, e da sua moglie Sichelgàita? In quanti sanno che l’antico portale, delimitato da una superba cornice a intrecci viminei con raffigurazioni vegetali e zoomorfe, è una delle più importanti testimonianze dell’arte normanna del meridione d’Italia? In pochi, purtroppo, nonostante la mole degli indignati e di coloro che hanno pianto – metaforicamente, s’intende – per l’infame sorte del portale. E sì che nel vedere lo sfregio verrebbe proprio da piangere per lavare con le lacrime l’onta dello stupro di un monumento indifeso e restituirgli la sua dignità, che è la stessa dignità dei brindisini.

Ora, potrà anche essere vero che l’Italia da sola detiene una delle più alte concentrazioni artistiche al mondo, ma è pur vero che gli italiani sono i primi a dimenticarsi del proprio patrimonio culturale, a ignorarlo finanche. Un patrimonio, per sua natura, fragile e indifeso, che – come insegna questa vicenda, e contrariamente a quanto si pensa – non è affatto eterno. Ecco perché c’è urgenza di prendere coscienza della funzione civile del proprio patrimonio, del suo essere testimonianza visibile del livello di civiltà raggiunto (l’esatto opposto della barbarie). E non solo. Coscienza anche del sacrosanto dovere di conoscerlo, tutelarlo e tramandarlo ai posteri.
Intanto, questo nostro patrimonio «unico al mondo» giorno dopo giorno soffre violenza e sta letteralmente scomparendo sotto i colpi dell’indifferenza: delle istituzioni, ostinate nel non voler investire nella cultura e nella formazione al patrimonio, cioè nel futuro e nei giovani; di ciascuno di noi, tutte le volte che abbassiamo lo sguardo, e tiriamo dritto, dinanzi ai tanti monumenti che quotidianamente sono vittima della mala-gestione, dell’incuria e dei «vandali» di casa nostra.

Quante lacrime dovremmo versare per ogni monumento che – come il portale di San Benedetto – «sanguina» del nostro stesso sangue! Del sangue dei nostri padri e, al tempo stesso, dei nostri figli. Forse è venuto il momento di iniziare a piangere per davvero, come segno concreto di attaccamento e di appartenenza, perché il patrimonio culturale italiano, prima di essere «patrimonio dell’umanità», è anzitutto patrimonio degli italiani. Di ciascun italiano, per diritto di nascita, di cittadinanza e, soprattutto, in virtù della sovranità popolare. E questo rapporto di parentela – di sangue, per l’appunto – non può essere sciolto se non al prezzo della perdita della propria memoria storica, vale a dire di ciò che si è. E l’indifferenza è una malattia che inevitabilmente conduce a smarrire sé stessi. Una malattia della quale sono affetti in molti nella nostra città, che nel tempo è stata privata – e continua a esserlo tuttora – di gran parte della propria memoria storico-artistica, materiale e immateriale.
Teodoro De Giorgio – Storico dell’arte (Agenda Brindisi 8 marzo 2024)

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