Il virus sembra aver allentato la morsa. Merito di un comportamento virtuoso degli italiani, del caldo pre-estivo, di una minore virulenza? Ben venga. E ben venga Conte, che nell’ultimo comunicato ha annunciato interventi più corposi a sostegno dell’economia. Ha tentato persino di aggirare la burocrazia italiota prevedendo un anticipo della cassa integrazione, da pagare entro 15 giorni dalla domanda e senza passare dalle Regioni. Mi chiedo, vista l’opera di snellimento in corso, perché non possiamo entro 15 giorni, pagare totalmente l’indennità? Mah. Rileggevo il libro di Pietro Trabucchi, uno psicologo specializzato in discipline di resistenza. Resisto dunque sono, si intitola così uno dei saggi che ha scritto sul tema della resilienza. I testi sono utili a spiegare perché a qualcuno vada sempre tutto male e altri, invece, sembrino baciati dalla fortuna. La resilienza, come recita il capitolo primo, è l’arte di risalire sulla barca rovesciata. Perché, si chiede l’autore, quando la vita rovescia la nostra barca, alcuni affogano, mentre altri lottano strenuamente per risalirvi sopra? E’ col verbo resalio che gli antichi definivano questa azione. Ma l’autore va oltre. Il resiliente non solo affronta le avversità, ma compie una ristrutturazione cognitiva. Vale a dire che cambia il modo di guardare un evento negativo e riesce a cogliere nello stesso gli elementi positivi, non solo reagisce alle contrarietà ma ne trae insegnamento e le tramuta in opportunità. Come si lega, questa riflessione al discorso di Conte? Dovrebbe essere questa la vera Fase 2. Negli intenti dei politici e nelle nostre personali determinazioni. La pandemia ha cambiato il nostro modo di stare al mondo, il nostro sistema sociale, come pensiamo e come viviamo la precarietà dell’esistenza. Ha cambiato il nostro carattere, anche il profilo psicologico. Ha modificato la nostra economia, facendo emergere tutti i limiti del capitalismo sfrenato e portato alla fame diverse categorie sociali. E’ stata – e lo è ancora – uno shock globale, un trauma collettivo, al di là di tutte le interpretazioni new age o pseudo roussoiane di ritorni allo stato di natura. Non ci ha reso più buoni e solidali, anzi ci ha incattiviti ulteriormente in una condizione sempre più egoriferita e sociopatica. La nostra possibilità di resilienza non significa edulcorare la realtà e fingere che un evento tragico sia invece necessario per l’umanità. Significa chiamare le cose col proprio nome, smettere di commiserarsi, uscire di casa (sì sì con la mascherina), guardarsi attorno e cogliere. Capire che opportunità di resalio l’universo ci sta offrendo. E questo deve avvenire a tutti i livelli. In primis a livello istituzionale e politico. La teoria della resilienza insegna, infatti, che occorre una rete, anche un solo appiglio, per poter risalire. Che da soli lo sforzo è improbo. Ora è questo che ci aspettiamo dallo Stato. Che ci fornisca il predellino per rimontare. E lo faccia, in prima battuta, liberando i gradini dalla vischiosità della burocrazia, dalle procedure contorte, dalla modulistica da riempire. Che renda semplici le cose semplici e gestibili quelle complesse. Che ci faccia uscire dalla crisi sanitaria superando l’assurda impasse delle mascherine (sparite! le mascherine!) e dei tamponi (troppo costosi? mancano i reagenti?). Semplificare e sovvenzionare: le parole d’ordine. Dare spazio. Liberare il campo perché la creatività possa esprimersi. Perché niente sarà più come prima, ma dipende da noi se tutto sarà meglio di prima.
Valeria Giannone
Il post Coronavirus, una grande opportunità
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