Con un referendum è stato diminuito drasticamente il numero dei parlamentari. Ciò che ha fatto prevalere questa scelta è stata la semplicistica idea di un presunto risparmio. Ciò che diminuirà di certo è la rappresentanza democratica, in particolare dei territori più piccoli. Se non si farà una buona legge elettorale i danni saranno notevoli.
Risparmiare, abbattere i costi, questo è l’imperativo dominante non essendo capaci di eliminare i veri sprechi e la corruzione. Qualunque settore si occupi della salute e del benessere dei cittadini ha inevitabilmente costi sociali: se vi sono «anomalie», causate dalla disonestà, dovrà essere essere combattuta, senza diminuire le risorse per l’assurdo assunto che elargendo meno soldi si avrà meno corruzione. Il risultato certo è che saranno erogati servizi peggiori per i cittadini. Individuata la «casta», la punta dell’iceberg, come l’unico colpevole, non si fa molto caso a quello che c’è sotto, quella massa enorme costituita anche dagli enti di vario grado che alimentano le logiche spartitorie e il nucleo di potere che da decenni paralizza l’Italia. I veri risparmi si farebbero «mettendoci mano».
La «Ship 2 Shore», specializzata e autorevole pubblicazione on line di economia del mare e dei trasporti, ospita una interessante analisi sulle diverse «prestazioni» delle Autorità di sistema portuale. Lo studio elaborato da Fabrizio Vettosi, Managing Director presso Venice Shipping and Logistics SpA, fornisce una istantanea sull’efficienza degli scali marittimi italiani, i cui buoni rendimenti sono essenziali per l’economia italiana. Questo elaborato (foto) potrebbe essere molto utile dal momento che da qui a qualche mese si dovrà decidere la nomina dei nuovi presidenti per la maggioranza delle Autorità di Sistema Portuale, precisamente tredici su sedici.
L’analisi rileva come sei Authority abbiano un numero di dirigenti ben al di sopra della media e analizzando «il rapporto fra dipendenti e numero dei dirigenti», che ha una media dell’8%, vede come più virtuoso l’ente ravennate al contrario di quelle «del Sud Italia che si sono generalmente fatte prendere la mano» e tra quelle che superano abbondantemente la media c’è l’AdSP MAM. Ma l’aspetto critico analizzato più condizionante è la notevole diversità del costo del personale, ed è a questo punto che lo stesso Vettori, per frenare qualsiasi scatto «demagogico», raccomanda «a non valutare solo questo indicatore» perché «se a cifre più elevate della media corrisponde anche un indice di efficienza superiore, allora il gioco può valere la candela». Evidentemente il gioco non vale la candela se dai 50mila euro a dipendente della AdSP di Ravenna si arriva ai 112mila di quella di Bari senza che vi siano prestazioni quanto meno simili. Infatti nel grafico illustrativo le performance si trovano agli estremi opposti: l’AdSP del Mare Adriatico Centro Settentrionale (porto di Ravenna) svetta nelle prime posizioni, al contrario di quella del Mare Adriatico Meridionale (Bari e Brindisi) che occupa l’ultima, per i cattivi risultati a fronte delle laute retribuzioni elargite.
Se le conclusioni dell’analisi di Fabrizio Vettosi sono corrette, dovrebbero far prendere in considerazione, dalla classe politica e imprenditoriale, due aspetti. Il primo: pare difficile se non inevitabile, da parte del Ministro, evitare un cambio del management negli enti portuali «colpevoli» di performance negative. Il secondo: per carità di patria non si mette il dito nella piaga e si evita di ricordare chi sostenne con forza l’unione del porto di Brindisi con quello di Bari. Fu un «matrimonio forzato», utile solo per rimpinguare le asfittiche casse del porto barese, con un patrimonio di non poco conto che, secondo tale analisi, pare essere servito principalmente a mantenere una struttura pletorica che ha prodotto risultati insoddisfacenti.
Se, come si è detto, questa analisi è corretta e i risultati sono quelli che impietosamente vengono sbattuti in faccia, allora si rendono necessarie azioni decisamente determinati e determinate, anche se traumatiche (per qualcuno).
Non bisogna fare drammi per il fallimento di un matrimonio d’interesse, il vero dramma sarebbe perseverare. Occorre riflettere e operare per porre fine a questa unione. E non è una novità che tale idea cominci a farsi strada, divenendo ogni giorno di più una impellente necessità.
Con un intervento pubblico, il segretario generale della CGIL brindisina, Antonio Macchia, sottolinea proprio questa necessità, lo scorporo del nostro porto dal Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale proprio per poter «riprogrammare l’assetto e le strategie che potrebbero rendere il porto di Brindisi il volano per la ripresa e il rilancio dell’intero sistema economico del territorio».
La politica dovrebbe prendere coscienza dell’ormai evidente realtà e prendere atto che, sempre più colpevolmente, si stanno dissipando lentamente, quanto inesorabilmente, le considerevoli potenzialità del nostro porto.