Il diavolo si nutre dell’applicazione pedissequa della legge. Quando mi imbatto in espressioni quali Family day, Pro-life o inglesismi a parte, Famiglia, Patria, Vita, Valori, avverto con brivido la presenza luciferina. Ha un che di satanico il ddl Pillon, per esempio, che regolamenta le separazioni sotto l’ombra minacciosa della sindrome di alienazione parentale, disturbo che colpirebbe i figli che si vedono negato il rapporto con uno dei genitori (detta anche sindrome della madre alienante lascia poco spazio all’interpretazione di quale sia il genitore incriminato). Neanche a dirlo si tratta di una malattia psicologica non riconosciuta dall’OMS. Ebbene Pillon è il diretto ispiratore della Presidentessa della Regione Umbria, Donatella Tesei, che con una delibera di Giunta riporta indietro di qualche decennio la conquista civile della L. 194. In una Regione con il 66% dei medici obiettori, si stabilisce infatti che l’aborto farmacologico non sia più gestito in day hospital ma con un ricovero di tre giorni in una struttura ospedaliera. La puzza di zolfo si diffonde quando si giustifica la Delibera con l’applicazione tout court della L. 194, la quale stabilisce che l’aborto debba avvenire in ospedale. Sì, ma all’epoca non esisteva una pillola non invasiva e lo Stato oggi ha concesso ampia discrezionalità alle Regioni di regolamentare le singole situazioni. Il forcone a tre punte appare quando si motiva la decisione con il “prendersi cura” e “sostenere” la donna. Peccato che per questo nobile fine si annienti la privacy di una persona, costretta a giustificare la sua degenza di ben tre giorni, alla famiglia, al luogo di lavoro, agli amici e ai vicini di reparto. Per non parlare dell’inutile utilizzo di strutture ospedaliere ora necessarie per altre emergenze. Si riporta il dominio del corpo femminile nell’alveo, tutto maschile, del luogo del diritto e della politica, seppure in questo caso la promotrice sia una donna. Ma non è il genere a provocare il silenziamento dei diritti, quanto l’assorbimento, anche da parte femminile, della cultura e dei valori costruiti sul maschile. Sembrano riecheggiare le parole di Oriana Fallaci. Lei, nella sua Lettera a un bambino mai nato, raccontava tra sentimenti ondivaghi della sua scelta di donna di portare avanti una gravidanza, riconoscendo nello stesso tempo il diritto di disporre del proprio corpo. Intervistata sul tema dell’aborto rispose: “Io mi auguro che nessuno di noi dimentichi che l’aborto non è un gioco politico. Che a restare incinte siamo noi donne, che a partorire siamo noi donne, che a morire partorendo o abortendo siamo noi. E che la scelta tocca dunque a noi. A noi donne. E dobbiamo essere noi donne a prenderla, di volta in volta, di caso in caso, che a voi piaccia o meno. Tanto se non vi piace, siamo lo stesso noi a decidere. Lo abbiamo fatto per millenni. Abbiamo sfidato per millenni le vostre prediche, il vostro inferno, le vostre galere. Le sfideremo ancora.” Amen
Il diavolo applica sempre la legge
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