L’ondata albanese di trent’anni fa ha portato sulle nostre sponde numerose personalità della cultura e delle arti, molte delle quali hanno proseguito il loro percorso in terra italiana, con significativi e stimolanti contributi al dibattito culturale e all’evoluzione dei linguaggi artistici contemporanei.
Segni e caratteri espressivi di diversa natura sono rintracciabili in modalità e produzioni creative portatrici della cultura e della tradizione transadriatica o riconducibili alle vicende storico-artistiche dell’ampio retroterra balcanico e mediorientale. Si pensi al monumento realizzato a Otranto dallo scultore greco Costas Varotsos con i resti della Kater I Rades, memento indelebile del tragico affondamento della nave albanese il venerdì santo del 1997. O alle gigantesche contorte chiavi/passepartout del Mediterraneo di Alfred Milot Mirashi, plastiche testimonianze della ricerca del dialogo tra culture differenti e dell’affermazione dei diritti umani.
In questo solco, un nome da ascrivere al novero dei protagonisti della scena albanese è Fate Velaj, figura di spessore, eclettica nella sua declinazione dell’arte e della cultura: pittore, fotografo, scrittore, politico, diremmo intellettuale a tutto tondo per le sue capacità espressive in ambito figurativo, letterario e nelle «differenti geografie umane [ponendo interrogativi] che pervadono il presente in uno scenario contemporaneo in continua trasformazione e attraversato da molteplici crisi», per citare Roberto Romeo che a nome del Teatro Pubblico Pugliese ha collaborato all’organizzazione dell’evento di cui stiamo per parlare.
Il Velaj fotografo ha raccolto una corposa serie di scatti in una mostra, attualmente a Brindisi nelle sale del Museo Archeologico «Ribezzo», dall’eloquente titolo «Face. Beyond the Identity»: una sessantina di fotografie (diciassette di grande formato) in cui l’autore si fa interprete di sguardi penetranti, volti, persone narranti un portato sociale sovente frutto di un vissuto intenso
Le immagini ordinate nelle sale del «Ribezzo» dalla direttrice Emilia Mannozzi conducono il visitatore in un percorso narrativo su molteplici livelli: fotografico, artistico e letterario (verrebbe da dire socio-antropologico), conformemente alla poliedricità dell’autore. Un video, note diaristiche, versi, frammenti letterari integrano appunto l’allestimento curato da Daniele Spedicati con Daniela Ventrelli e Cosimo Semeraro.
Il contesto è in larga parte un mondo periferico di palese povertà materiale ma di altrettanto evidente ricchezza umana; il paesaggio è un est a noi vicino, l’Albania da cui ci separa quel «Mare di ghiaccio» del toccante diario (Ed. Alfeo, Brindisi, 1993) dell’esodo di Perparim Turra, un altro profugo del ’91
Che sia un ambiente rurale, una periferia urbana degradata, un molo sgarrupato o un interno domestico, vi si stagliano figure che, spesso tenute in posa dallo stesso Velaj, “bucano” l’obiettivo con tenero impaccio o con fierezza; disincantata rassegnazione nello sguardo degli anziani, nessuno smarrimento negli occhi dei bambini – ma tenerezza quando vestiti a festa. Ancora, l’occhio dello spettatore cade lì dove l’autore ha trovato il particolare che caratterizza, nonché il singolo scatto, l’intera narrazione espositiva: quell’oggetto, quell’arnese, quel capo di vestiario che sono principio interpretativo chiave dell’immagine, a volte elemento di contestualizzazione sociale, a volte dato distintivo del soggetto. Non sfugge lo sguardo acuto di Ismail Kadare, ritratto nel suo studio, certamente un tributo di Fate Velaj al suo illustre connazionale.
Curiosamente inclusa nelle opere in mostra – in risalto e decisamente fuori contesto – la gigantografia che ritrae Federica Romano, figlia della presidente del Consiglio Regionale pugliese Loredana Capone.
«Ho preso l’antologia «Grenzgänger» (pendolare transfrontaliero) con autori di diversi paesi. Non ho capito, perché la mia mano ha scelto questo libro. Forse perché anch’io sono un Grenzgänger, che conosce e viaggia in tutti, quasi tutti i punti di frontiera dei Balcani … e più in là … Forse perché quasi tutte le mie fotografie, forse anche molte delle mie pitture e dei miei testi li ho realizzati per strada, tra le frontiere … dentro i confini, sia virtuali, o con una sbarra … oppure anche fuori dai confini, … anche quelli che non esistono nella mia mente …» (Fate Velaj).
Domenico Saponaro (Agenda Brindisi – 14 maggio 2021)