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Gli occhi, finestra dell’anima

Quando si dice ironia della sorte: chi avrebbe mai immaginato che, un bel giorno, uomini e donne di questa terra avrebbero portato sul viso un velo laico simile allo hijab indossato dagli islamici! Uno dei danni collaterali di questa pandemia è stato quello di averci privato della visione del volto e delle sue espressioni, prima fra tutte quella boccale, deputata a disegnare il sorriso ed il riso. Paradossalmente, questa mutilazione ha finito per esaltare la forza e la bellezza comunicativa degli occhi, pozzi di luce il cui linguaggio è sempre decifrabile. Lo sguardo, infatti, rivela i più reconditi stati dell’anima.
La concentrazione visiva, obbligata e reciproca, potenzia la funzione fàtica e conativa degli occhi, sempre capaci di modularsi su una gamma vastissima di emozioni e sentimenti: smarrimento, ansia, dolore, terrore, disperazione, curiosità, fierezza, pietà, indifferenza, gioia, speranza, odio, amore, passione e molto altro ancora. Il pensiero corre ad alcuni esempi topici della letteratura e dell’arte in genere. Don Abbondio, come Anna Karenina, ha gli occhi grigi. Neri sono quelli della monaca di Monza e di Tosca, verdi quelli di Rossella O’Hara.
Come non ricordare poi immagini immortali dipinte con penne mirabili da autori del calibro dell’Alighieri e del Leopardi? «Quando con li occhi li occhi mi percosse», scrive Dante nel canto XXXIII del Purgatorio a proposito di Beatrice, il cui sguardo magnetico colpisce gli occhi del poeta. Tutt’altro, invece, esprimono gli occhi «ridenti e fuggitivi» dell’adolescente Silvia, amore ideale di Giacomo. Per un uomo disperato, gli occhi possono essere «una vana parola, un grido taciuto, un silenzio». Sono quelli della morte, gli stessi della cinica Costance, che non seppe amare il povero Cesare. E cosa c’è di più caravaggesco dello sguardo del «Ragazzo morso dal ramarro», con quegli occhi foschi in cui si legge un mix di sorpresa, dolore, ma anche di disappunto e di rancore? Molto diverso è lo sguardo di paura attonita, quasi incredula, di quel bambino ebreo in cappottino e berrettone da vagabondo chapliniano che tiene le mani alzate, circondato da soldati della Wehrmacht. E’ la tragica icona della matta bestialità della guerra che, ancora oggi, affligge alcune aree del pianeta. Mi piace concludere queste mie riflessioni ricordando la bella locuzione «Gli occhi della speranza», a cui si sono sempre ispirati poeti, pittori, cantautori. Questo è appunto il titolo di una vecchia canzone di Eros Ramazzotti che parla del tema della donazione delle cornee. Andate a risentirla su YouTube per apprezzarne la delicatezza e la nobiltà del messaggio… «Sì, gli occhi miei vedranno ancora/dietro gli alberi l’aurora/che dal buio salirà …». Che questa tragedia epocale possa accentuare in noi il bisogno di perseguire «Il bello e il buono» …
Gabriele D’Amelj Melodia (Rubrica CULTURA – Agenda Brindisi – 13 ottobre 2020)

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