La Corte d’Assise del tribunale jonico ha stabilito che l’Ilva della famiglia Riva è responsabile di disastro ambientale. Non a caso il processo era denominato «Ambiente svenduto», ma se si svende l’ambiente si svendono anche le vite della gente. Ciò che il «sistema» ha sempre tentato di negare è il nesso causale fra inquinamento e danni sanitari. Non solo nel caso dell’Ilva. Brindisi e Taranto furono oggetto negli anni Sessanta dell’«attenzione» della politica industriale quando furono scelte come sedi di quelle che la letteratura chiamò le cattedrali nel deserto: il siderurgico sullo Jonio e lo stabilimento petrolchimico (al quale si aggiunse il più grande insediamento energetico d’Europa) sull’Adriatico.
E’ indubbio che esistono legami strettissimi tra i destini dei due territori, ambedue hanno subito un pesantissimo danno ambientale e sanitario, ambedue piangono morti.
La sentenza del processo «Ambiente svenduto» ha inflitto circa 85 anni (su un totale di 299) ai due fratelli Riva, al responsabile delle relazioni istituzionali, Girolamo Archinà ed a Luigi Capogrosso all’epoca. Nonostante queste pesanti condanne e il riconoscimento del gravissimo crimine commesso, l’attenzione mediatica si è fatta distogliere dalla condanna inflitta a Nichi Vendola, ex presidente della Regione. Paradossalmente il crimine che ha provocato decine e decine di morti è passato in secondo piano rispetto alla condanna di tre anni e sei mesi subita dal politico.
Dovrebbe essere l’occasione per fare un esame di coscienza e cominciare a pensare ad un industria che distribuisca benessere e progresso, non veleni e morte.
A Taranto bisogna riconoscere l’impegno attivo del sindaco Ippazio Stefano, pediatra ospedaliero, il forte impulso che si ebbe con l’elezione di Vendola e il ruolo che Giorgio Assennato fece assumere all’ARPA. Ma la svolta non avvenne per la politica ma grazie all’autorità giudiziaria quando il Gip Patrizia Todisco dispose una indagine sull’associazione tra inquinamento del siderurgico ed effetti sanitari. Lo studio di coorte fu condotto da Francesco Forastiere e Annibale Biggeri con una metodologia idonea a cogliere questo nesso in maniera certa. Fu proprio questo studio che stabilì il nesso causale fra inquinamento e danni sanitari, stravolgendo ciò che comunemente veniva sostenuto con certezza da vent’anni: l’esatto contrario. Oggi, grazie a quello studio ed ad altri che seguirono, la verità è venuta a galla. A Brindisi le cose andarono diversamente anche se qualcuno sperò che la magistratura brindisina assumesse la medesima iniziativa, ma non accadde.
Dopo il sequestro dell’ILVA, nel luglio 2012, Assennato spinse affinché la Regione aggiornasse lo studio di Taranto e lo replicasse a Brindisi. Quello di Taranto fu pubblicato nel 2016, quello di Brindisi nel 2017 con dati sino al 2013. Lo studio di Brindisi evidenziava effetti sanitari sfavorevoli in anni passati, ma nulla nel 2013. Per la verità, uno studio, quello su Brindisi, che qualche esperto giudicò non completo, lacunoso. Però alcuni eventi per i quali era stata preannunciata l’indagine (come le gravidanze con esiti abortivi) non erano presenti nei risultati. A tali lacune e interrogativi non fu mai data una risposta né fu mai aggiornato lo studio, nonostante varie assicurazioni.
A Brindisi le cose andavano (e vanno) diversamente non solo rispetto a Taranto, come abbiamo visto, ma anche rispetto ad un’altra realtà industriale, Porto Marghera. Nello stabilimento petrolchimico veneto, grazie al giudice Felice Casson, si svolse il processo – che si concluse con varie condanne – per alcune morti causate da tumore al fegato e legate alla produzione di PVC da CVM. A Brindisi le cose andarono diversamente, pur trattandosi di casi del tutto simili (stessa produzione, stesse conseguenze tumorali). Qui l’indagine fu archiviata sol perchè per il caso preso in esame venne diagnosticato un tumore del tipo angiosarcoma mentre per quello trattato da Casson la diagnosi fu di emangioendotelioma: gli esperti affermano trattarsi della stessa cosa.
Se a Brindisi, dove non sono state fatte uscire dai camini industriali essenze balsamiche, se fossero state prese iniziative e condotte indagini come altrove, forse oggi la storia sarebbe diversa.
Il percorso giudiziario non è finito ma è certo che non sia ancora accettabile che in nome del profitto si giustifichino becere speculazioni e si calpestino diritti fondamentali compromettendo il futuro di un territorio e di una popolazione. Chissà come questi principi possano essere giudicati dagli immancabili portatori d’interessi, ma è difficile non considerarli come la precondizione del vivere civile.
Giorgio Sciarra (ZONA FRANCA – Agenda 4 giugno 2021 – (Foto: brundisium.net)
Ex Ilva e Petrolchimico: Taranto e Brindisi, «storie» ambientali
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