Autore: IN EVIDENZA L'angolo della cultura Rubriche

E se la noia fosse un volano?

Ci risiamo. Ancora ai domiciliari, si spera per l’ultima volta. Trascorreremo tre settimane costretti nelle nostre case, con minime fughine di necessità. Le nuove restrizioni sono partite in sordina, senza i riti esorcizzanti che caratterizzarono la prima clausura di un anno fa. Si avverte nell’aria una certa cupa rassegnazione, a metà tra la fatalistica accettazione dello stato d’essere e la presa di coscienza e responsabilità. Siamo tornati ad «ammazzare il tempo» con le consuete attività casalinghe, ma né il bricolage o la lettura, né il pc, lo sparphone o la radio e la televisione riusciranno del tutto a compensare la mancanza di socialità e di libertà assoluta. In questi giorni, che passano molto lentamente, i colori dell’anima tornano a tendere verso il grigio e il nero.
Parecchi di noi sono già entrati in quella fase di disagio psicofisico che si definisce inquietudine, anticamera di una fase depressiva che solo una risoluzione a breve del blocco può scongiurare. Dopo alcuni giorni di fermo, sono cominciati l’insofferenza, il senso di incertezza, la noia. Quest’ultimo stato d’animo è un classico storico e intramontabile. Gli antichi greci la denominavano akedia (da cui il termine medievale acedia), i latini taedium. Il lemma «noia» deriva dal latino in odio, ma anche dal provenzale enoja (una negazione della gioia). Il tema della sofferenza per fastidio, insoddisfazione, monotonia, fu affrontato da Seneca, Lucrezio, Marco Aurelio. Un vero genere letterario, quello dell’«umor nero da bile» (Galeno), che attraversa l’opera di Shakespeare e Pascal per giungere prima a Leopardi e Baudelaire, poi a Schopenauer e Kierkegaard, infine a Sartre, Moravia e … Califano. Giacomo Leopardi, in una lettera, esprime questo giudizio: «La noia è il più sublime dei sentimenti umani». In effetti l’illustre recanatese faceva accademia in quanto, per tutto l’arco della sua breve esistenza, tra studio e produzione di numerosissime opere, non credo abbia avuto il tempo di annoiarsi. Il problema di Giacomo era la brama d’evasione e la voglia matta di amare ed essere amato …
Che la si chiami noia, o ennui o spleen, questa condizione di malessere resta una patologia molto diffusa e democratica, perché prende persone di ogni etnia, età, ceto e livello d’istruzione. Per non soccombere alle sue malsane insidie, non resta quindi che contrastarla, tirandone fuori qualche aspetto positivo celato nelle sue pieghe. Come nello jujutsu, sfruttiamo la forza dell’annoiamento a nostro favore, per disequilibrarlo e metterlo spalle a terra. E’ doveroso tirare fuori dalla malinconica monotonia della mutilata vita domestica una forza reattiva, un mix di volontà e speranza che ci faccia guadagnare uno slancio vitale (quello che Baudelaire chiamava ideal), basato sulla cosciente aspettativa di un riscatto, di una rinascita molto prossima ed attuabile. Forza e coraggio dunque, la meta è vicina!
Gabriele D’Amelj Melodia (Rubrica CULTURA – Agenda Brindisi – 19 marzo 2021)

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