L’anno scorso, di questi tempi cantavamo dai balconi. Era il tempo dell’angoscia, del lavoro da casa, delle città incantate, di un transatlantico Italia che spegneva i motori uno dopo l’altro e avrebbe girato a folle per i mesi a venire. Ancora non avevamo visto la lenta sfilata di bare, la crisi economica non si era manifestata nella sua gravità, lo smart working sembrava quasi una liberazione, il cinguettio degli uccellini ci proiettava in una dimensione bucolica. «Andrà tutto bene», ci dicevamo, ricordate? E «ne usciremo migliori».
Ad un anno di distanza possiamo fare un primo bilancio oltre certificare la totale inaffidabilità delle nostre capacità profetiche. Non è andato tutto bene, e l’umanità è decisamente peggiore. Abbiamo fatto il possibile, ma non nel migliore dei modi. A un anno di distanza e con diverse case farmaceutiche che hanno ognuna il proprio bravo vaccino, ancora parliamo di zona rossa e lockdown. Un anno fa sembrava impossibile riuscire a dotarsi della mascherina perfetta. Oggi il venditore ambulante sotto casa le ha sul suo banchetto, con ombrelli e accendini. Oggi abbiamo i protocolli per trattare il virus, seppure incomba l’incognita delle varianti, abbiamo realizzato che adottando precauzione si ridimensiona il contagio ed evitando i contatti si scongiura il collasso degli ospedali. Ma abbiamo anche capito che l’unico modo per uscirne, veramente, è quello di procedere ad una vaccinazione di massa.
Ebbene neppure con una pandemia che tiene sotto scacco l’intera popolazione mondiale, possiamo sfuggire alle rigide regole del capitalismo. Non è entrato a sufficienza nel dibattito pubblico il tema dei brevetti sui vaccini. Liberalizzare i brevetti, costringere le Big Pharma a venderli a ogni Stato, proporre un’alleanza produttiva e di ricerca tra gli Istituti. Le soluzioni sono diverse, ma nessuna sul tavolo di lavoro. Lasciare a ogni impresa la produzione del proprio vaccino, senza un organismo sovranazionale o meglio mondiale che possa regolamentarne la distribuzione, significa trasferire i principi del liberismo di mercato in ambito sanitario. Pfizer, Moderna, AstraZeneca, ognuna possiede un proprio brevetto che ne tutela la produzione e che consente di contingentare le consegne. Il Presidente Draghi, nel suo primo discorso pubblico, chiede all’Unione Europea di difendere i propri interessi e di attaccare AstraZeneca, inadempiente nella consegna delle dosi. Suggerisce di superare le identità e i particolarismi, ma nello stesso tempo lo fa definendo i confini di un’Europa, mentre dovremmo ragionare in termini planetari. Il contraltare di queste argomentazioni è costituito dal rischio che con una liberalizzazione dei vaccini salvavita nessuna azienda troverebbe conveniente investire nella ricerca.
Ma siamo sempre nel campo dell’idolatria del Dio Mercato. Esiste un limite etico alla produzione di profitti, il giusto guadagno deve sposarsi con gli interventi pubblici di un sistema-mondo.
Oppure assisteremo alla sopravvivenza della parte più resistente della popolazione ma il principio di umanità sarà già morto.
Valeria Giannone (Rubrica ALLEGRO MA NON TROPPO – Agenda – 12 marzo 2021)
È passato un anno: va tutto bene?
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