In questi giorni sta per finire la vendemmia tra i vigneti di Brindisi. Tutto questo sta avvenendo nel completo disinteresse di istituzioni e di quanti avrebbero il dovere di capire il valore economico e occupazionale che il settore vitivinicolo ha e può avere per il territorio. Per noi produttori vitivinicoli la vendemmia è fine ed è principio. La fine di un lavoro di un anno tra i vigneti e il principio dell’uva che sta per diventare vino. Sarebbe molto interessante far conoscere cosa comporta in ricadute paesaggistiche, economiche e occupazionali il ciclo produttivo vitivinicolo. Si scoprirebbe che hanno un valore di gran lunga superiore a quello di altri settori industriali a cui si presta giustamente e quotidianamente la dovuta attenzione. Vivere la vendemmia con la consapevolezza che chi ha funzioni di governo e di rappresentanza del territorio e della sua economia non solo ti è vicino ma soprattutto crede in quello che si produce, sarebbe una soddisfazione e uno stimolo a lavorare meglio e di più e a far diventare questo settore attrattivo di ulteriori investimenti. Da tempo affermo, inascoltato, che Brindisi può puntare per il suo futuro anche sulle potenzialità agricole e vitivinicole per dare un contributo ad un nuovo e più sostenibile sviluppo. Ci sono tutte le condizioni. Lo hanno colto già importanti investitori esterni a Brindisi e alla Puglia. Con la crisi di questi anni, accentuatasi con il Covid-19, e l’incipiente esaurimento del vecchio modello di sviluppo impostato sulla industria di base (petrolchimica) e di servizio (energia da fossili) i contorni di un nuovo sviluppo possono avere nell’economia agricola e in quella vitivinicola un solido riferimento. Non un ritorno ad un passato, anche se va detto, che Brindisi ha contribuito nel corso di più di due millenni, a fare la storia del vino nel Mediterraneo, contribuendo a valorizzare territorio, paesaggio e soprattutto il porto. Attorno al vino di Brindisi c’era anche prima della nascita di Cristo, un indotto. La presenza delle tante fornaci di anfore vinarie utilizzate per trasportarlo per tutto il mediterraneo sin dai tempi dell’Impero romano, è un esempio di ciò che il vino ha potuto rappresentare nell’economia brindisina.
Vigneti, palmenti, fornaci, porto, se hanno avuto un ruolo già duemila anni fa, la stessa economia e la stessa sinergia la si può ritrovare tra metà ottocento e novecento. Periodo questo che arriva fino ai nostri anni settanta e primi anni ottanta. Sempre vigneti, stabilimenti enologici (ai primi del novecento se ne contavano in città ben 121), industria delle botti (al posto delle fornaci), porto sempre affollato da “bastimenti” su cui veniva imbarcato il vino di Brindisi utilizzato per tagliare tutti i vini del nord Italia e della Francia. La modernizzazione e la industrializzazione forzata degli anni 60/70, assieme ai primi segnali di crisi del settore, presero il sopravvento su un territorio che è rimasto comunque caratterizzato da una forte presenza e vocazione agricola e viticola. Dopo lo svellimento dei vigneti incentivato negli anni 70/80 (si è passati in provincia di Brindisi dai 33.500 ettari vitati censiti in tutta la provincia nel 1970 ai circa 12.000 di oggi e comunque sempre più di quelli attuali della provincia di Lecce). Questo avveniva a tutto vantaggio della viticoltura veneta e toscana che negli stessi anni aumentavano le loro superficie destinate alla vitivinicoltura. L’invasione poi di impianti fotovoltaici su aree agricole pregiate e vocate alla vite (tentativi ancora irresponsabilmente in atto e che si siano bloccati e respinti) hanno contributo ulteriormente all’abbandono. Questa è la storia passata e recente. Negli ultimi anni, però, anche a Brindisi c’è un ritorno di interesse verso la vitivinicoltura. Il negroamaro e il susumaniello di Brindisi, per versatilità e caratteristiche, stanno producendo rossi, rosati e spumanti dalle grandi e apprezzate qualità.
en 2.800 ettari dell’agro cittadino (il 40% della superficie agraria provinciale coltivata), tra vecchi e nuovi vigneti, sono coltivati per produrre uve da vino. Assieme ai 1.200 ettari dell’agro di Mesagne costituiscono l’area (areale)della Doc Brindisi(una delle poche città che da’ il proprio nome ad una denominazione d’origine controllata ). Una Doc, tra le 29 pugliesi, poco valorizzata e tutelata, poco utilizzata dagli stessi viticoltori: su circa 4.000 ettari vitati solo 337 sono stati registrati a doc Brindisi! A dimostrazione che si è lontani ancora dalla consapevolezza che l’intero territorio ha delle sue ricchezze e potenzialità vitivinicole. Il consorzio di tutela della doc brindisi vuole diventare uno strumento di valorizzazione, di promozione non solo,del vino ma anche delle stesse città (Brindisi e Mesagne)che produce questa Doc. Nelle prossime settimane il consorzio, dopo aver eletto a socio onorario il comune di Brindisi e Mesagne, avrà la sua sede in città nel complesso delle scuole pie. Tra i programmi di tutela e promozione del consorzio c’è quello di trasformare il negroamaro Doc Brindisi in DOCG (denominazione controllata e garantita) per la ulteriore valorizzazione del nostro vino, del nostro territorio. Il Testo Unico del Vino approvato non più di due anni fa semplifica e riunisce le norme del settore con l’obiettivo di dare valore al settore. L’art. 1 di questa legge recita testualmente: “La Republica salvaguarda, per la loro specificità e il loro valore in termine di sostenibilità sociale, economica, ambientale e culturale, il vino prodotto della vite, e i territori viticoli, quale parte del patrimonio ambientale, culturale, gastronomico e paesaggistico italiano, nonché frutto di un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni”. Questo articolo della legge può diventare il manifesto per rilanciare e valorizzare la vitivinicoltura brindisina.
Ci sono oggi favorevoli condizioni per ricostruire a Brindisi una nuova economia e una cultura del vino. Ci sono competenze, pratiche, tradizione e storia. Oggi più che mai è necessario mettere e mettersi assieme(produttori, tecnici, associazioni, istituzioni), cooperare in maniera innovativa, ripensare e rafforzare le forme associative di tutela, di ricerca, di promozione del prodotto vino e del suo territorio. Non servono prime donne ma imprenditori e produttori che devono saper cooperare nella valorizzazione di Brindisi, terra di antichi vigneti e di vino buono. I produttori, tutti, devono stare in prima fila. Ma non solo essi. Ci devono credere i ristoratori, le enoteche, le vinerie, gli appassionati, i degustatori del vino, gli operatori turistici. Ma ci devono credere soprattutto le istituzioni locali. L’economia e la cultura del vino hanno bisogno di iniziative di sostegno in grado di aiutare e promuovere capacità di conoscenza, di innovazione, di promozione, di commercializzazione e di valorizzazione. Quanto lavoro e lavori! A crederci non bastano i produttori, i loro sogni e i loro sacrifici. Le istituzioni locali, quella di Brindisi e di Mesagne(le cui areali costituiscono la doc Brindisi) dovrebbero inserire nel loro stesso profilo programmatico, identitario, storico,culturale,economico e paesaggistico il nostro/loro vino e il territorio che lo produce. Il consorzio di tutela della Doc Brindisi e il programma a cui sta lavorando farà nei prossimi mesi la sua parte.
Con altri produttori sogniamo una Brindisi da scoprire e da interpretare attraverso “un viaggio” che parte dal bicchiere (vino di negroamaro e di susumaniello da degustare), incontra e percorre il territorio e il paesaggio(quello vecchio e nuovo dei vigneti brindisini), passa dalle cantine ed arriva alla cultura(storia, tradizione, ricerca, innovazione). E i giovani brindisini che stanno scoprendo il vino e la sua cultura devono considerare il settore come un loro possibile sbocco occupazionale e diventare i testimoni e gli ambasciatori di queste emozioni che si possono provare a Brindisi e con i vini di Brindisi. Il negroamaro brindisino come altri vitigni autoctoni (susumaniello innanzitutto) hanno la loro specificità (sentono il clima del mare) ed hanno tutte le potenzialità per imporsi con una propria identità. L’identità del vino ha un valore economico e non è solo un racconto da comunicare. L’identità è un percorso che affonda le radici nel passato e che si apre al futuro. Brindisi, terra di antichi vigneti e di vino buono, può essere tutto questo. Solo così l’attenzione verso questo importante settore potrà essere l’occasione per ritrovarsi come comunità che, credendo in se stessa, sa valorizzare il territorio, le sue vigne, i suoi vitigni, il suo vino.
Carmine Dipietrangelo – Amministratore Tenute Lu Spada / Vice presidente del consorzio di tutela dei vini doc Brindisi e Squinzano