Autore: IN EVIDENZA Vita Cittadina

Degrado e pericolosità di strade e luoghi, l’appello di una brindisina

Da Carlotta Dell’Anna, giovane brindisina, riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta (con documentazione fotografica) relativa al crescente degrado di strade e luoghi della città. Un appello rivolto all’Amministrazione comunale di Brindisi.

Gentili lettori, mi rivolgo in maniera generica a chiunque finisca per leggere queste righe, perchè il loro intento non è solo quello di fare un appunto ai “tecnici competenti”, ma anche quello di mettere per iscritto quello che ogni abitante, cittadino, giovane, adulto o anziano vive in maniera più o meno consapevole, in questo piccolo pezzo di questa piccola città di Brindisi. Il mio nome non è rilevante, ma non per questo ometterò di firmarmi. Sono una ragazza di 25 anni, nata e cresciuta qui, a Brindisi, “in centro”. Sono andata a studiare fuori, prima in Italia, poi all’estero, ed è quasi passato un anno dall’ultima volta che ho avuto la possibilità di allontanarmi.
Insomma, io non vivo qui, purtroppo, e non dico purtroppo perché questo posto non mi piaccia. Dico purtroppo perché qui è la mia casa, ma la mia casa cade a pezzi.
Ad ogni rientro ho notato un pezzo rotto in più, a volte coperto da una toppa, altre volte no. Come tutti sto attraversando un momento di disagio ed isolamento a causa della diffusione del Coronavirus: non vedo i miei coetanei, non frequento la mia università, il luogo in cui mi sento qualcuno e sento di fare qualcosa che dia un senso alla mia vita. Ogni volta che sono annoiata e cerco uno svago, mi ripeto di farmi coraggio, che a breve potrò ricominciare a costruire la mia vita, che da qualche altra parte c’è il posto per me. Perché qui non c’è niente, ci sono mattoni rotti, ci sono persone disattente, non appassionate. Ci sono persone che cercano di mettere toppe sulle strade, nei bilanci, nei controsoffitti di locali statali pagati dai comuni contribuenti. Che mandano i figli in scuole in cui non si possono spostare i banchi per evitare le conseguenze dei danni strutturali. Che odiano la pioggia perché non hanno mai imparato a conviverci, ad amarla perché cos’è la pioggia se non l’unica cosa di cui abbiamo bisogno per vivere? Eppure a tutti piacciono le orecchiette alle cime di rapa, i carciofi ripieni, le friselle sponzate con i pomodorini. Tutte cose che senza acqua … insomma. Non studio biologia, ma … Ma il punto della pioggia non è la pioggia, anche se siamo abituati a pensare così.

Perché fanno finta che sia la pioggia a fare male, quando in verità, a far male è cadere sul sedere quando piove, perché la pavimentazione urbana è inadatta, i manti stradali dissestati ed i rivestimenti deteriorati. Le soluzioni mal studiate. E, quindi, in una normale domenica di gennaio, di ritorno dal forno con due bei panini ai cereali in busta, a pochi metri dal portone della mia abitazione, appoggio per sbaglio un piede su una rampa … fatta proprio per appoggiarci i piedi. E scivolo, cado sul sedere e mi dico “non hai nulla di rotto, alzati e fatti il pianto a casa che qui piove”. Quindi salto su, entro in casa, metto del ghiaccio e mi godo il livido. Alcuni anni fa, il 3 aprile 2016 per la precisione, mia madre si è rotta la gamba, un’operazione, diverse settimane in ospedale (su cui si potrebbe scrivere un altro tema dal titolo “fossi rimasta a casa”); la vicenda era stata riportata da un articolo pubblicato da “La Gazzetta del mezzogiorno” intitolato “DISAVVENTURA: colpa della solita buca e delle strade in dissesto in ogni zona urbana”. L’articolo di Pierluigi Potì si chiudeva così: “Le strade in dissesto, insomma, hanno mietuto un’altra vittima, l’ennesima. E per il Comune, soggetto responsabile della manutenzione, si profila ora un nuovo contenzioso che andrà ad aggiungersi alla già enorme mole di cause pendenti dinanzi ai giudici”. Anche mia madre quel giorno stava solo camminando. Ma ha messo i piedi nel punto sbagliato del marciapiede.

Poi qualche, anno dopo, è caduta nello stesso punto su cui mi sono scompostamente distesa io questa domenica. Sarà un vizio di famiglia. Non fosse che un altro vizio di famiglia è, per fortuna, quello di essere abbastanza elastici e veloci nella reazioni ai traumi fisici. Ma questo non dovrebbe importare. Nel mese di agosto sono caduta perché il mio cane ha deciso di tirare il guinzaglio nel momento sbagliato, ancora una volta nel punto sbagliato della città, ed il mio piede è rimasto incastrato tra le chianche della pavimentazione di corso Umberto I. Non voglio eccedere nelle polemiche con questa lettera, ma sono qui da marzo 2020, come appena detto, ho un cane e grazie a lui esco quotidianamente, e con assoluta certezza posso affermare che immediatamente dopo l’estate si è iniziato a sistemare la pavimentazione sofferente dei corsi. Ogni due settimane, in media, le transenne predisposte dal comune di Brindisi per la delimitazione delle isole di pericolo a causa del dissesto della pavimentazione, vengono spostate di alcuni metri, perchè conclusosi un rattoppo si possa iniziare con il successivo. Vi sfido a distinguere il prima ed il dopo l’intervento.

La mia giovane età sicuramente non mi permette di valutare la difficoltà nell’organizzazione degli interventi di sistemazione urbana, l’origine dei fondi per l’intervento, la gestione delle risorse come materiali e manodopera. Il coordinamento della sicurezza e la gestione delle tecniche impiegate per la realizzazione degli interventi, le soluzioni tecnologiche scelte a scopo migliorativo, a prevenzione di rischi e pericoli per i singoli utenti, con e senza cani, bambini, ragazzi, giovani ed anziani. E sicuramente non voglio mettere in dubbio le motivazioni che hanno influito sulla scelta di soluzioni come rampe per disabili agli angoli dei marciapiedi, che coincidono oltre tutto con il punto di raccolta delle acque di precipitazione, portando così l’aggiunta di pericoli ai pericoli. Non vorrei davvero mai trovarmi a dover superare il percorso ad ostacoli degli incroci tra via Mazzini e via Palestro, o tra via Mazzini e via San lorenzo, in sedia a rotelle, visto che non sono neanche capace di farlo sulle mie gambe. Forse dovrei fare come mio fratello, che quando si trova all’ultimo incrocio appena citato, si aggrappa al palo per evitare di scivolare. Ma sarà sempre per via del vizio di famiglia: cadere.

Questa piccola polemica, non vuole che essere una richiesta di attenzione dagli uffici competenti alle problematiche della loro città. Alla riflessione sul finale atteso per questo piccolo pezzo di mondo, che ha un mare così bello, un cibo così buono, un sole così caldo, e della strade così rotte, delle auto dalle sospensioni così stressate, dei giovani così lontani, dei palazzi così abbandonati e sempre più tristi e malconci. Non sono solo le transenne, non sono solo le rampe nei punti sbagliati, la progettazione disattenta e disinteressata all’eliminazione delle barriere architettoniche, non sono solo i bordi delle aiuole divorate dalle radici degli alberi e dalle ruote delle auto, non sono solo i paletti spezzati, la spazzatura che intasa le vie della città fino al momento della raccolta. É una città che sembra non essere capace di essere abitata, triste, debole, che resiste più che può per lasciarsi usare. Ma io poi mi chiedo: ma voi come camminate per strada? In che città vivete? Il mio augurio migliore è quello di trovare un giorno un segno di amore per questo luogo, e sono convinta che chiunque avrebbe da aggiungere una parola a riguardo, ma per il momento forse sarebbe sufficiente farlo garantendo a chiunque di poter abitare questa piccola Brindisi in sicurezza, perché la bellezza è prima di tutto questo.

Con speranza e (pochissima) fiducia, Carlotta Dell’Anna

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