Dietro la foto di copertina di Agenda Brindisi di questa settimana (16 luglio 2021) c’è una storia molto interessante. Come denunciato dall’associazione Italia Nostra nell’aprile scorso, sotto quei detriti si nasconde un pregevole esempio di archeologia industriale bellica: il macchinario del «motore» (foto), ossia la complessa macchina utilizzata per calare le reti metalliche anti-sommergibile nel Canale Pigonati e chiudere quindi il porto, a difesa delle navi ormeggiate all’interno.
Il motore è quasi sicuramente riferibile al primo conflitto mondiale, tanto che gli studiosi ne parlano a proposito dello scoppio della corazzata «Benedetto Brin», avvenuto il 27 settembre 1915: «… si era propagata la voce che lo scoppio fosse stato causato da un siluro lanciato da un sottomarino in agguato o da una mina vagante trascinata dalle correnti e penetrata accidentalmente nel porto. Malgrado tali ipotesi risultassero assurde, poiché l’unico varco di accesso al porto era ostruito con una rete metallica verticale tenuta tesa da galleggianti, le ostruzioni furono accuratamente esaminate da alcuni palombari, che accertarono l’integrità della rete» (G.T. Andriani, «La base navale di Brindisi», 1993, p.129).
In una lettera inviata il 29 aprile 2021 al Comandante della Marina, al Sindaco di Brindisi e alla Soprintendenza, a seguito del crollo della struttura murale protettiva, Italia Nostra ribadisce la necessità di procedere a un recupero di questo importante manufatto, uno degli ultimi se non forse unico esempio superstite in Italia.Ora, è assolutamente necessario che le autorità competenti, nella tutela della sicurezza dei tanti frequentatori del sito – tra i quali molti bambini che potrebbero incautamente avventurarsi tra quelle macerie – provvedano urgentemente alla rimozione dei detriti e adottino ogni misura di protezione della macchina bellica, mirando auspicabilmente anche alla sua visione e valorizzazione attraverso un adeguato pannello informativo.