Mentre nel Documento Programmatico Preliminare al Piano Urbanistico Generale si fa sfoggio di ipotesi di scuola, arrivando ad immaginare che una volta chiusa la centrale a carbone di Cerano il nastro trasportatore dell’ENEL possa trasformarsi in una metropolitana di superficie che colleghi Brindisi a Lecce, anche con una fermata intermedia al complesso di Santa Maria di Cerrate!, la realtà bussa alla porta. La transizione ecologica, cui adesso hanno dedicato anche un Ministero, a Brindisi non sarà affatto un gioco. Occorre mettere da subito in campo ipotesi di investimenti alternativi capaci di attenuarne gli effetti sul versante occupazionale. Qualche mese addietro erano state le imprese portuali a lanciare l’allarme sulle possibili conseguenze derivanti dalla riduzione della quantità di carbone sbarcato nel porto di Brindisi. Allarme rimasto inascoltato. Oggi sono i dipendenti della azienda che cura la movimentazione del combustibile a vedere messo a repentaglio il loro posto di lavoro. E tanto nonostante che ENEL nella gara d’appalto avesse inserito una apposita clausola sociale che prevedeva l’obbligo, per l’azienda vincitrice della gara, di ricollocare in altre mansioni il personale in esubero. Come spesso accade si è cercata la scappatoia degli incentivi al pensionamento o di una riduzione del trattamento economico di quel personale destinato ad altre attività. Così altri 38 lavoratori sono costretti a guardare con preoccupazione al loro futuro. Ma questo non è che l’inizio. Pensiamo a quanto accadrà alle centinaia di addetti delle imprese che oggi svolgono attività manutentive all’interno della Centrale ENEL di Cerano. O agli stessi dipendenti della società energetica che difficilmente potranno essere ricollocati nella futura centrale a gas, ammesso che ne venga mai autorizzata la realizzazione. Si tratta di impianti che necessitano, infatti, di un numero ridotto di addetti rispetto alle centrali alimentate a carbone. Mentre pare che prenderanno solo la via di Taranto le risorse del Just Transition Fund, il fondo creato dalla Unione Europea per aiutare le zone meno sviluppate ad indirizzarsi verso una economia ad emissioni zero attraverso una progressiva riduzione dell’uso dei combustibili fossili ed il passaggio ad economie meno inquinanti, da noi ci si continua a cincischiare immaginando una diversa idea di sviluppo di cui riesce difficile immaginarne anche solo i contorni. Ovviamente senza che temi così importanti abbiano formato oggetto di confronto all’interno di una maggioranza capace solo di accapigliarsi per dividersi le poltrone. Salvo inventarsi una delega alla “creatività” e candidare alla presidenza del Consorzio Industriale un professionista che con l’industria c’entra come i cavoli a merenda. E’ arrivato il momento di aprire un tavolo negoziale con la Regione ed il Governo per prevenire gli effetti della decarbonizzazione sul versante occupazionale come fu fatto in passato per il ridimensionamento del polo chimico. E di assumere una posizione chiara ed univoca sulla bonifica dell’area SIN agricola e sugli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili che potrebbero essere collocati in quei luoghi e rappresentare un valido sbocco occupazionale per quanti vedono messi a repentaglio i propri posti di lavoro. Si tratta di chiedere alle aziende interessate ad effettuare investimenti in quelle aree impegni vincolanti sull’utilizzo di imprese e manodopera locale nelle attività di bonifica e installazione e manutenzione degli impianti piuttosto che obbligarle a realizzare improbabili boschi mediterranei come deliberato dalla Amministrazione Provinciale.
Gabriele Antonino – Capogruppo PRI Brindisi