Autore: IN EVIDENZA Rubriche Zona Franca

Decarbonizzazione, il futuro della centrale termoelettrica di Cerano

Appena l’Enel ha annunciato il via libera alla chiusura anticipata del Gruppo 2 della centrale termoelettrica di Cerano, Michele Emiliano si è felicitato con se stesso dicendo «questa è una buona notizia, abbiamo lavorato con grande determinazione per convincere Enel a dismettere la centrale a carbone di Cerano». Sul profilo del sindaco Riccardo Rossi il titolo di un post sulla stessa notizia dice che è stato fatto «un passo importante per la decarbonizzazione della centrale Federico II di Cerano».
Le parole (o, meglio, il loro significato) sono impegnative e bisogna farne un uso oculato poiché talvolta il loro esatto significato è diverso da ciò che si vuole dire.
Emiliano usa il termine «dismettere» che secondo la Treccani – famosa enciclopedia in lingua italiana che ebbe come cofondatore Giovanni Gentile – significa «smettere di adoperare, non usare più». L’altro termine del quale si abusa giocando inconsciamente con la parola è «decarbonizzazione». Una parola, potenzialmente intuitiva, che tuttavia lascia spazio a diversi dubbi riguardo il suo reale significato: si è portati a pensare al carbone ma in realtà vuol dire abbandonare le fonti fossili, tutte, non solo il carbone. E la soluzione non può certo essere quella di sostituirlo con una delle cause dell’emergenza climatica, cioè il gas naturale.
Sarebbe preferibile che le istituzioni fossero sincere fino in fondo con la popolazione che amministrano dicendo le cose come stanno, papale papale, senza indoramenti di sorta. Spiegare cioè che la cosiddetta transizione, a Brindisi, significa che la vecchia Federico II, alimentata a carbone (fossile), sarà sostituita da una nuova centrale a gas (fossile) e che avrà una vita non inferiore a 25-30 anni.

Una panoramica della centrale termoelettrica Enel Federico II di Cerano


Bruno Carluccio – sindaco dal 1980 al 1984 – passò alla storia per aver dato il via all’epoca del carbone siglando in una riunione da «carbonari» l’accordo con Enel. Fu firmato presso la «Baracca», ristorante-trattoria costruito sotto i camini della centrale elettrica di Brindisi nord, frequentato da operai e radical chic. Una firma che dette il via, come già detto, alla «dominazione» trentennale del carbone e ad una lunga stagione di conflittualità sociale, inquinamento dell’ambiente e delle coscienze. Tantissimi cittadini hanno protestato e combattuto contro quella centrale, contro l’uso del carbone chiedendo che la centrale di Cerano fosse alimentata a gas e quella di costa Morena, Brindisi Nord, fosse chiusa e dismessa, recuperando le aree alla retroportualità. Sono passati circa trent’anni da quelle richieste mai accettate da Enel perchè poco convenienti dal punto di vista economico. Ora, è bene ripeterlo, sol perchè l’Unione Europea ha varato una sorta di «piano Marshall» investendo ingentissime risorse con il Just Transition Fund (Fondo per la transizione equa) diviene conveniente abbandonare il carbone. Si dovrebbe, allora, essere contenti? Non proprio perchè questa è un’altra era, con aspettative e scenari diversi. Ma se così dovrà essere, se la politica non avrà la forza o non vorrà opporsi, o non sarà in grado di immaginare per il futuro scenari compatibili con le nuove esigenze, prevarranno nuovamente i «poteri forti» facendo subire questa nuova «colonizzazione». Brindisi diventerà nota come capitale del gas dopo essere stata quella del carbone. Però, almeno, si eviti di contrabbandare gli interessi del colosso energetico come una nostra vittoria, perchè così non è … e non si può considerarla tale per rispetto a quel barlume d’intelligenza che ancora alberga in ognuno di noi. Quindi se Carluccio verrà ricordato in un determinato modo, gioco forza ci sarà un altro sindaco che, forse, legherà il proprio nome a quello del gas.
Ma ci sono altri nodi da sciogliere, a prescindere dal fatto che la centrale Federico II sarà alimentata a gas naturale o dismetterà nel vero senso del termine seguendo quanto il programma «Futur-e» ha previsto – in linea con le direttive della Comunità europea – per le centrali di Porto Tolle e Carpi.
Non si parla e si fa orecchio da mercante su come affrontare la grave eredità lasciata dall’esercizio del polo energetico: le modalità e i tempi delle bonifiche di tutte le aree contaminate dal carbone, i tempi dello smantellamento del nastro trasportatore e il necessario ripristino dello stato dei luoghi originario. Perchè il «nastro» è una profonda ferita del territorio, un enorme serpente di cemento lungo dodici chilometri che ha compromesso la falda acquifera e, prescindendo dalle vicende giudiziarie e dagli accordi intercorsi fra le parti, ha di fatto danneggiato l’economia di quelle aree agricole, un tempo particolarmente fertili.
Sinora non si è sentita una parola a riguardo ed è bene invece che ciò costituisca l’argomento centrale di ogni e qualsiasi tavolo si metterà in piedi. Vogliamo una seconda Micorosa?

Rubrica a cura di Giorgio Sciarra (Agenda Brindisi 5 giugno 2020)

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