Autore: Cultura IN EVIDENZA

A Lecce la mostra «Lucus» con i «boschi» dell’artista Yuval Avital

Una foresta senza alberi. Suonerà paradossale, ma è esattamente ciò che Yuval Avital ha inteso realizzare, nelle sale della Fondazione Biscozzi|Rimbaud, per una nuova personale, intitolata Lucus, a cura di Massimo Guastella. Che, nel testo critico in catalogo, chiarisce: «Alla costante ricerca di tracce umane e recuperi rituali e affascinato dalle differenti identità dei luoghi, [Yuval Avital] ha ideato un intervento di forestazione estetica, privo di alberi, dalla valenza concettuale, che intende creare interrelazioni con la comunità e le sue radici culturali e naturali, rievocando le remote aree boschive ricoperte dalla macchia della penisola jonico-salentina. E pur tuttavia, spiazzando ogni itinerario logico, rinuncia a rappresentare icasticamente le specie arboree e punta a suscitarne ogni sorta di echeggi». In un fertile ed efficace ibridismo di differenti modalità espressive, l’operazione per l’istituzione leccese dell’artista gerosolimitano (classe 1977, residente tra Milano e Muro Leccese) è un’esperienza immersiva che evoca – tra manufatti formalmente eterogenei e distinte ambientazioni, anche sonore – suggestioni e richiami alla sacralità del bosco e alle creature, vere o immaginarie, che lo abitano. Figura eclettica (anche valido musicista-performer) e dal forte senso etico corroborato da una spiccata spiritualità, Avital elabora un’articolata riflessione sulla graduale, inarrestabile corruzione dell’ambiente naturale per mano (e scelleratezza) umana. E lo fa recuperando figure, usi e credenze in una dimensione a-storica in cui convivono arditamente i miti silvani del Lucus e i riti dell’ozio agostano contemporaneo. Rappresentati, questi ultimi, dai Bagnanti: candide sculturine raffiguranti figure sgraziate, dalle posture spesso scomposte e goffe, che paiono diramarsi da esili piantane, e che nella prima sala interagiscono con piccoli acquerelli su carta, di analogo soggetto. Canzonette estive stile jukebox da stabilimento balneare fanno da sottofondo a questa prima – la più “leggera” e disincantata – delle quattro tappe del percorso espositivo. È lo stesso artista a raccontarne i contenuti in occasione del vernissage: «La vacanza all’italiana non è un vizio ma un rito. Il primo giorno si va al mare, tutti pronti, prova costume, perfetti, e questa cosa prosegue ogni giorno, tanto che al sesto giorno i corpi iniziano a curvarsi [ne simula le pose, n.d.r.]: c’è quello che aspetta la palla … così, o quello con il cellulare che non prende … così, si alzano le mani, tutto diventa una grammatica umana e da questo nascono i Bagnanti, una sorta di “bosco di corpi”».

Ai Bagnanti, del tutto inediti e appositamente realizzati per un’ambientazione (ben ascrivibile a un site specific) della prima sala, si contrappongono, per esplicito dato formale e precedenti espositivi, i Nephilìm del secondo spazio: totemici simulacri antropomorfi, ipertrofiche Maschere sonore realizzate da artigiani – qui assurti a veri artisti – in numerosi materiali differenti (cuoio, cartapesta, marmo, metallo, filati, per citarne alcuni).  Dalle bocche/altoparlanti di questi volti alieni proviene un coro di voci (quelle degli stessi artigiani rielaborate da Avital) che intonano un mantra suadente e magnetico, «un sussurro collettivo perpetuante in una non-lingua, un viscerale sussurro che, quando uniti in una folla di voci, ricreano un microcosmo onirico immersivo e inaspettato» (https://museomarinomarini.it/mostra/nephilim-una-moltitudine-di-maschere-sonore-di-yuval-avital/ introduzione alla mostra Nephilìm. Una moltitudine di maschere sonore, di Yuval Avital, Museo Marino Marini, Roma, 2019, testo non firmato).

Altrettanto avvolgente, perlopiù su un piano visivo-emozionale, è l’allestimento della terza sala, dove si è immersi nel silenzio e nel buio, da cui affiorano le sagome di cinque menhir, rielaborazione in scala di altrettanti monoliti salentini ad opera dei valenti artigiani Cosimo Quaranta (ceramista) e Dante Vincenti (cartapestaio), con un possente intervento grafico dell’artista che ne ha istoriato le superfici con segni, figure umane e ferine, laurieddhi e altri simboli di ritualità e sacralità dell’universo silvestre.

Su una parete fa da sfondo uno dei suoi light box, e qui lui ci viene nuovamente incontro, ancora con la sua introduzione verbale alla mostra: «cinque menhir e a fianco un’opera molto importante per me, “Light recording no.8”, una fotografia, un light box, che ho scattato durante una cerimonia di caccia sacra in una montagna in un bosco sacro di una tribù indigena di notte. A fianco a questo c’è un elemento importante, perché nella mia mostra ci sono ottantanove opere più una: la novantesima è per me importante perché è un’opera di mia figlia Alma, sette anni, che ha impresso il suo segno di sacro e nella sua inconsapevolezza forse ha creato una “vettorialità” per uno sguardo non solo indietro verso le radici ma anche verso il futuro. Questo è un bosco di oscurità, di ascensione, di luci, di sagome, in cui invitiamo a usare la torcia del cellulare per scorgere i dettagli, come degli archeologi, per trovare il bambino dentro noi stessi». Al primo piano ci si imbatte infine in tre sculture posizionate sul pavimento – una per ciascuna sala – in una stimolante compresenza con la collezione permanente della Fondazione, che occupa l’intero livello dell’edificio nel centro storico di Lecce. Sono i Singing Tubes, figure zoomorfe (anch’esse “sonore”) raffiguranti una giraffa, un ragno e un verme: «gli animali magici, fiabeschi – scrive Guastella – sono collocati, in accostamenti improbabili e pur senza alcun intervento irriverente, tra i variegati esiti dell’arte del Ventesimo secolo lì esposti, con i quali si intersecano e insieme contribuiscono ad accrescere un clima di tempo sospeso. Sono attestazioni della creatività strabordante di Yuval, che spande qua e là ambiguità semantiche mediante il gioco ironico e provocatorio dei rimandi».

Leggerezza e ironia; meditazioni ed elaborazioni concettuali sia sulla poetica e sull’immanente sacralità del Lucus, sia sulle ansie per i guasti (di cui le attuali, drammatiche cronache ci danno peraltro conto) provocati dai mutamenti climatici e – come detto – dalla nefandezza dell’uomo; spirito di sopravvivenza, o tentativo di recupero, di un’infanzia che va smarrendosi, quando non già perduta; e in filigrana un dichiarato elogio dell’ozio nella sua accezione virtuosa: suffragati da esiti creativi inediti e da una cifra espressiva di indiscutibile valore, sono i connotati di questa mostra di Yuval Avital, artista a tutto tondo, tra i più interessanti profili della scena contemporanea.

Domenico Saponaro

Yuval Avital, Lucus
A cura di Massimo Guastella
16 luglio 2023 – 7 gennaio 2024
Catalogo Dario Cimorelli Editore

Orari: dal martedì alla domenica ore 17:00-21:00

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