Si avvicina il 25 Aprile, Festa della Liberazione dal nazifascismo. Una data simbolo per il popolo italiano, dovrebbe unire lo spirito di un Paese che ha saputo ribellarsi a una dittatura. Ma come tutto ciò che ha valore simbolico, anche questa ricorrenza si presta a interpretazioni e porta dietro la sua carica divisiva, soprattutto da quando i rigurgiti nazionalisti e sovranisti hanno ammantato le democrazie occidentali.
Quest’anno, poi, la situazione è ancora più tesa. Ci si mette una guerra. E il guaio di questa guerra è che il cattivo stavolta è incarnato in una nazione, la Russia, che qualche decennio addietro ha dato una bella mano alla caduta del nazifascismo. Erano russi i carri armati che scoperchiarono l’orrore dei campi di concentramento e liberarono i prigionieri. Quindi che succede in Italia? Succede che l’ANPI, l’associazione dei partigiani della resistenza italiana e di tutti coloro che condividono i valori dell’antifascismo, si trovi nell’occhio del ciclone per l’infelice commento del suo presidente nazionale.
All’indomani della strage di Bucha, con la doverosa condanna, Gianfranco Pagliarulo auspica l’istituzione di una commissione d’inchiesta per appurare le responsabilità effettive dell’accaduto. Chi è stato, veramente? Sembra chiedere. Su questa affermazione la stessa associazione si è divisa, ma al suo interno trova accordo in prevalenza sulla linea pacifista, (ci mancherebbe, chi non lo è?) linea che esclude l’invio delle armi in Ucraina.
L’ANPI brindisina sposa in pieno il pensiero nazionale: Donato Peccerillo (foto), presidente provinciale, si dichiara contrario al sovvenzionamento bellico dell’Ucraina, sollecita la pace e auspica l’avvio di negoziati da parte dei governanti europei. Liquida la battuta del rappresentante nazionale con una «quisquilia» (non è proprio questo il termine utilizzato) e denuncia una comunicazione mediatica a senso unico.
Ma la resistenza ucraina può essere assimilata alla Resistenza partigiana? Sì. E no.
No, perché ogni rivoluzione e ogni battaglia contro un oppressore sono storie a sé, si formano in contesti storico-sociali differenti, con diverse forze politiche a sostegno.
Ogni oppressione è infelice a modo suo come le famiglie dell’incipit di Anna Karenina. No, perché l’errore più grosso che può compiere uno storico è quello di leggere gli eventi passati con l’occhio del presente, e viceversa. No, perché tutte le rivoluzioni condotte sino ad ora non avevano testate nucleari piazzate sui due fronti.
Ma anche sì. Sì, perché qualsiasi attacco offensivo di un dittatore verso uno Stato democratico per imporre il proprio regime politico deve essere combattuto. Sì, perché non si può parlare di Pace astratta e di negoziati per fronteggiare un criminale di guerra che non ha nessuna intenzione di ascoltare. Sì perché l’Ucraina può anche avere un’estrazione nazifascista prezzolata dall’Occidente – si cita il famigerato battaglione Azov, sorto per fronteggiare i secessionisti filorussi in Donbass – ma quanto era fascista l’Italia negli anni della Resistenza?
Sì, perché la guerra al nazifascismo, in ogni caso non si fa giustiziando le persone in fuga, stuprando le donne e torturando i bambini. O bombardiamo la Sicilia per eradicare la Mafia?
Sì, perché l’ANPI «è tra le più grandi associazioni combattentistiche presenti e attive oggi nel Paese», così si autodefinisce sul proprio sito, combattentistica. Siamo gli eredi dei partigiani italiani, che hanno combattuto, anche con violenza, per consegnare a noi una Repubblica antifascista, e ora reclamiamo una Pace vuota e scollata dalla realtà, senza azioni concrete, e in questo modo assistiamo alla triste fine della nostra capacità di indignazione. Sparisce, liquefatta nei talkshow.
Valeria Giannone (Rubrica ALLEGRO MA NON TROPPO – Agenda 18 aprile 2022)