Autore: IN EVIDENZA L'angolo della cultura Rubriche

Il buio delle emozioni ferite

Altro che banalità del male (oggi il diavolo è tutt’altro che banale, fa il suo sporco lavoro e veste «Loro Piana»), ormai la banalità è in ogni luogo, e quindi anche nel bene. Le stesse categorie morali del bene e del male vanno sempre più relativizzandosi, sfuggendo ai rigidi canoni dell’antica dicotomia. Da un pezzo si è inverata la lucida interpretazione leopardiana secondo la quale il bene non è che una transitoria cessazione del male. Con i pannicelli caldi della teodicea impegnata a giustificare l’ingiustificabile, i credenti si rifugiano nel grembo accogliente della fede consolatoria, trovando un po’ di ristoro al profondo dolore che devasta l’anima.
L’equivalente laico della preghiera è il manifestare per la pace nel mondo, «senza se e senza ma». Purtroppo entrambi le nobili pratiche non sortiscono effetti rilevanti perché l’uomo, da sempre, continua ad essere un troglodita irrazionale (già Erasmo da Rotterdam aveva scritto in una sua orazione che «la guerra trasforma l’uomo in una belva»). Solo di recente l’opinione pubblica, ha «scoperto» che lo stato di guerra rappresenta la normalità in un mondo in cui non c’è stato mai un giorno in cui da qualche parte non si sia combattuto. Semplicemente non ce ne eravamo accorti perché i media ne parlavano poco.
Noi siamo quello che mangiamo, ma anche quello che leggiamo e sentiamo. La rete e i social ci danno solo l’illusione della libertà di ricerca e di espressione, perché il materiale è spesso manipolato e perché comunque non è facile, senza idonei strumenti culturali, tirare fuori dalla rete un «pescato» genuino … La tracimante massa di notizie, commenti e immagini che i mass media sfornano per tutta la giornata, unita al chiacchiericcio qualunquista che imperversa sui social, ha finito per produrre un grumo di confusione babelica in cui è difficile districarsi. Siamo diventati tutti esperti di geopolitica, come prima lo eravamo di virus. Abbiamo perso le coordinate dell’equilibrio e della ponderatezza, assieme al senso più autentico del dolore per una tragedia immane che l’infodemia ha trasformato in un wargame da salotto. La diluizione di sentimenti profondi di dolore, empatia e partecipazione al lutto ucraino, assieme ad una sorta di assuefazione al male dovuta all’incontinenza dei bombardamenti mediatici, ha finito per creare un circolo vizioso eticamente riprovevole. Sarebbe il caso di imboccare la via della sobrietà, limitando esibizionismi comunicativi. «Postiamo» meno foto (i palazzi sventrati hanno sostituito i piatti di spaghetti alle vongole) ed evitiamo di farci catechizzare dagli «Speciali» televisivi. Continuiamo piuttosto a manifestare a favore della pace e del disarmo, a fare opere di bene verso quel popolo martoriato e confermiamo l’impegno a dissentire nei confronti dell’attuale compagine governativa che ha votato l’invio di armi ai resistenti e l’aumento delle spese militari (una vera ignominia). Che la luce della ragione illumini le tenebre della follia.
Gabriele D’Amelj Melodia

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