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Brindisi vista da Roma / Si muore anche di indifferenza

René Robert amava fotografare tutto ciò che aveva a che fare col Flamenco. Anche se negli anni si era occupato di pubblicità, anche se per molto tempo si era dedicato a immortalare i grandi della musica. Alla fine, però, aveva ceduto al fascino della danza andalusa, investendo tempo e passione in quegli scatti così curati e apprezzati. Quelli per un ballo gioioso e allo stesso tempo sofferente, che unisce emozioni così intime in una forma d’arte estremamente spigliata.
Curioso e gentile, come lo descrivono i colleghi, René amava passeggiare per Parigi, la sua città adottiva. Ed è proprio lungo le strade della Capitale francese che circa due settimane fa ha perso la vita. Ucciso dal freddo, per i medici, ma molto semplicemente ucciso dall’indifferenza, come ha sentenziato amaramente lo scrittore, suo amico, Michel Mompontet. Un malore improvviso lo ha fatto stramazzare al suolo, mentre rientrava a piedi da una cena a casa di amici. Nonostante si trovasse nel pieno centro di Parigi, tra Place de la Republique e Les Halles, e nonostante non fosse nemmeno così tardi, Renè è rimasto nove ore per terra, nessuno per tutto quel tempo si è interessato a quell’uomo accasciatosi su di un marciapiede del centro. Quelle nove ore son diventate le più lunghe della sua vita, un tempo infinito che non è servito a salvarlo. E’ stato lasciato morire di ipotermia senza che nessuno chiamasse un’ambulanza o si avvicinasse al suo corpo. Ricordando il suo amico, lo scrittore Mompontet ha scritto: «Se c’è qualcosa che questa morte terribile può insegnarci è questa: quando un essere umano è steso sul marciapiede, per quanto siate di corsa, controllate che stia bene. Fermatevi un istante».
Fermarci un istante, dunque. Ed è strano che in questa fase delle nostre vite dove tutto sembra andar più lentamente – in cui le città sono vuote, i giovani restano a casa, come abbiamo raccontato la settimana scorsa – non ci si riesca a fermare un istante, appunto.
È come se in questa lunga stagione di solitudine e di distanziamenti si fosse «insinuata» la pericolosa lama dell’indifferenza. In un articolo di qualche mese fa, il New York Times era riuscito a coniare un termine appropriato, parlando di un’emozione contrastante, lontana dalla depressione ma riassumibile più con la mancanza di speranza. Si chiama «languishing» ed è descritta come un senso di vuoto che – spiegava il quotidiano della Grande Mela – ti fa sentire come se guardassi la tua vita da un finestrino appannato.
Il rischio è che da questo finestrino, oltre a perdere di vista le nostre vite, chiusi nei problemi di ogni giorno, non riuscissimo poi nemmeno a vedere quelle degli altri.
Perché, come ha ricordato il fotografo francese Damien Le Guay, su un toccante editoriale per Le Figaro dedicato al suo collega René: «Che fosse famoso oppure no, un fotografo o uno sconosciuto, il discorso non cambia. Nessuno ha voluto vedere quell’uomo».
Un pericolo che rischia di aumentare se parliamo di persone adulte, non solo anziane. Sono tantissimi tra i sessantenni e settantenni i casi di persone rimaste sole fino alla fine. La storia di Marinella, ritrovata dopo due anni esanime su una sedia della sua cucina, rappresenta l’ennesima tragedia della solitudine.
Che vita è quella in cui nessuno si chiede cosa ti sia accaduto negli ultimi due anni, in cui nessuno ti cerca, in cui una comunità non svolge la sua funzione essenziale, quella della costruzione di momenti di socialità, di condivisione. C’eravamo promessi di restare uniti, di uscirne migliori, eppure quella sofferenza vissuta collettivamente nei mesi dell’emergenza oggi rischia di tramutarsi in una grande bolla sociale in cui affetti e socializzazione restano fuori.
Nel recente incontro tra l’Anci e il Papa, a cui ha partecipato anche il primo cittadino Riccardo Rossi (foto) il Pontefice ha sottolineato proprio la necessità di maggiori luoghi di aggregazione sociale e di «progetti di convivenza civile e di cittadinanza». Un aspetto centrale per la ripartenza di questi mesi, così complessi. Un’idea, tra le tante, è quella di riprendere un vecchio programma che, ad esempio, a Roma ha avuto per anni grande seguito. Si tratta del coinvolgimento di anziani e pensionati come «supervigili» e gestori degli ingressi dei giardini, delle scuole. Un progetto recentemente riproposto dalle ACLI che aveva riscosso grande successo anche per l’entusiasmo delle famiglie degli alunni coinvolti. In una fase in cui le comunità vedono messi a rischio i legami minimi di solidarietà tra le persone, iniziative del genere possono rappresentare una risorsa straordinaria.
Andrea Lezzi (Rubrica BRINDISI VISTA DA ROMA – Agenda Brindisi 11 febbraio 2022)

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