Se venissimo catapultati in una pellicola americana ci sentiremmo un po’ come l’incredulo Will Smith de «Io sono leggenda», costretto a vagare in una New York spopolata, messa in ginocchio – neanche a farlo apposta – da una pandemia globale. In realtà la sensazione di queste settimane, vagando in una Roma deserta- soprattutto la sera – è un po’ quella della scena iniziale de Il Sorpasso. Quando, nella Capitale assolata, e desolata, l’esuberante Bruno Cortona sfreccia con la sua Lancia Aurelia per le strade vuote della città. Ma in quel caso, il personaggio interpretato da uno straordinario Vittorio Gassman, vagava per il centro in pieno Ferragosto, non certo di una delle fasi più frenetiche dell’anno.
E invece capita che proprio in queste settimane, perfino nei periodi natalizi, per chi come me si muove principalmente in scooter, una delle prime cose che balza agli occhi sono piazze e viali letteralmente deserti, molti hotel chiusi, locali pieni solo a metà – e nemmeno tutti – con discoteche e discopub serrati da tempo per Decreto e i localini turistici rimasti senza clientela.
Ecco che, soprattutto la sera, percorrendo Roma in Vespa si avverte una sensazione strana, quasi surreale. Esclusi i fine settimana, quella mole di gente a cui si era abituati fino a poco tempo fa, oggi è praticamente invisibile, così come le auto e i mezzi pubblici, sempre più sporadici.
Certo, come prevedibile, nella città dei Ministeri e dei grandi uffici, con lo smart-working sono in tanti ad aver cambiato le proprie abitudini; lo stesso vale per le scuole aperte a tratti, con l’alternanza in DAD.
È innegabile, dunque, che la pandemia prima, e le regole dopo, abbiano modificato lo stile di vita di tante famiglie italiane.
Se da una parte sono gli esercenti a essere in enorme difficoltà: ristoranti poco frequentati, cinema vuoti, negozi in crisi; dall’altra è semplicemente la clientela a non uscire. Coloro che dovrebbero essere i consumatori e che si ritrovano a casa, tra problemi quotidiani e incertezze. Il risultato è un grande e diffuso mortorio che da Bari a Milano, da Brindisi a Firenze, lascia centri storici abbandonati e locali svuotati.
Tra i principali fattori critici – se guardiamo agli esercenti – ci sono sicuramente quelli legati all’aumento dei prezzi al consumo, al rallentamento del turismo – che tanto era andato bene in estate ma che con Omicron è di nuovo crollato – e al recente e drammatico rincaro delle bollette.
Insomma, clienti pochi, acquisti ancor meno. Non è un segreto, infatti, che gli ultimi due anni abbiano contribuito da una parte a impoverire una fetta importante di popolazione, compresa quella classe media che aveva rappresentato per decenni una colonna portante della società italiana; dall’altra, ad accrescere – in una fase di distanze e restrizioni – una specie di blocco psicologico, di fiacchezza indotta che spinge ormai le persone – in primis i giovani – a non uscire e socializzare come prima.
Vi è, evidentemente, un enorme tema sociale, oltre a quello meramente economico. Il vuoto delle città non si può riassumere unicamente con il problema della crisi. In un recente articolo su Repubblica, Elena Stancanelli ha parlato di «lockdown dei ragazzi» che, complice il ritorno di Omicron e la «mestizia di non vedere una fine», li spinge a rimanere a casa, a rassegnarsi. «I locali sono vuoti, le strade deserte, di feste non si parla più, la parola discoteca è scomparsa dal vocabolario. Ufficialmente non c’è nessun lockdown, ma nelle nostre città vagano infreddoliti e mogi solo adulti che raggiungono il posto di lavoro, donne e uomini che si riforniscono di cibo e poi corrono di nuovo nelle loro abitazioni. Ogni tanto alziamo la testa e ci diciamo: ma i ragazzi? Non gli farà male stare tutto il giorno davanti al computer? Non è che in quel silenzio abissale dietro la porta sempre chiusa stanno covando malattie mentali incurabili, mostruose devianze della personalità?». E in effetti la risposta è in parte affermativa. Almeno stando ai dati recenti della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia, e di altre ricerche, che hanno sottolineato come, oggi, un giovane su quattro soffre di disturbi clinici di depressione e uno su cinque di ansia.
Città vuote, dunque, e giovani sempre più a casa, mettendo sempre più a rischio quei processi di crescita che – come ha ricordato il presidente dell’Ordine degli psicologi di Puglia Vincenzo Gesualdo – dovrebbero avvenire quando si è all’interno dei gruppi e nei luoghi di aggregazione. Insomma, c’è un’enorme necessità di tornare a vivere.
Andrea Lezzi (Rubrica BRINDISI VISTA DA ROMA – Agenda Brindisi 4 febbraio 2022)