Non posso dirmi davvero sorpreso per la mole di commenti e, in generale, per il dibattito sviluppatosi attorno all’articolo della scorsa settimana. Di certo la riflessione sulla situazione sociale della città non passava inosservata: perché nel titolo si citava Scampia, perché si criticava una parte della comunità, perché – lo si voglia o no – quando si apre una considerazione, anche feroce, su qualcosa cui si è molto legati, evidentemente il rischio che si corre è quello di provocare reazioni forti. Di causare emozioni discordanti, di essere fin troppo apprezzati o esageratamente criticati.
Diciamo che ci sta, fa parte del gioco. E se si prova ad aprire uno squarcio su un contesto che ci riguarda da vicino, se si cerca di raccontare la recrudescenza di un fenomeno sociale, beh allora può capitare che in tanti si sentano toccati dal tema e che vogliano partecipare al dibattito.
Non accetto però la critica sterile, l’insulto fine a se stesso. In oltre 230 articoli, in questa rubrica ho provato spesso a raccontare il bello di questa città, e lo faccio da persona che ogni due settimane vive le sue strade e la sua gente. La figura del commentatore esterno con la puzza sotto al naso non mi appartiene e – sia ben chiaro -lavorando a Roma sono ben conscio degli enormi problemi della Capitale e dei grandissimi pregi della mia città.
Detto questo, letti i tanti commenti, proviamo a giocare a carte scoperte. Per prima cosa: il titolo. Perché si citava Scampia? Certamente non per giudicare i suoi abitanti che – esattamente come in tutti i luoghi del mondo – sono una combinazione di persone brave e meno brave. Ma la citazione nasceva da una frase di una donna sui social, che commentando il video di una invasione di motorini in corsa sui marciapiedi – in un recente fatto di cronaca – aveva citato il quartiere napoletano, parlando di scene – diciamo così – «alla Gomorra». Inutile dire come la signora sia stata poi subissata di insulti. Ma la verità è che, al di là della citazione geografica, il focus era proprio sulle scene decisamente grevi che sempre più spesso si vedono in città.
Una città che è migliorata e che è sempre più vivace grazie all’attivismo di tanti giovani – lo ripetiamo – ma pur sempre una città dove si leggono giustificazioni alle rapine col tema della mancanza di lavoro, dove spariscono gli arredi urbani e si vandalizza praticamente tutto: parchi, ponti pedonali, parco giochi, arredi. Questo si può dire o rischiamo di incorrere nel reato di lesa maestà? Si può dire che c’è un tema culturale?
È più ipocrita chi non vede questa realtà o chi si offende fingendo di non capire? Mi anno più arrabbiare le persone in gamba che appartengono alla seconda categoria. Son soprattutto quelle che puntualmente ti rispondono che «no, non si può parlare male della città». Chi scrive è uno che ogni volta che può la sponsorizza, che ci porta i propri amici forestieri, a Natale come in estate, che per lavoro ha sempre fatto il massimo per supportarla. Ma da questo a non poter guardare in faccia a una situazione con lucidità ce ne passa. Lo vogliamo dire alla brindisina? Questa città, pur migliorando su tantissimi aspetti, diviene sempre più «zambra» per altri. Si offenda chi vuole ma basta fare un giro e osservare – o leggere i giornali – per rendersene conto. Il bello è che in tantissimi mi hanno detto che quanto scritto è la verità ma che purtroppo non si può dire.
Diversa, invece – voglio dirlo – è l’analisi dei motivi che hanno acuito questa situazione e delle possibili soluzioni. In questo senso ci sono state anche critiche costruttive. È vero, la colpa di questa situazione è equamente distribuita, se c’è un sottobosco che continua a vivere nell’inciviltà c’è anche una classe chiamiamola «borghese» decisamente scollata da questa realtà. Qualcuno ha parlato di una «colpa delle élite», e sarei pure d’accordo. Il fallimento di una parte della città è il fallimento dell’intera comunità e la responsabilità è certamente di chi possiede maggiori strumenti culturali e maggiori risorse. E questo perché su questa condizione pesano aspetti economici e culturali che colpiscono la nostra comunità ed è proprio da questi che le Istituzioni, insieme alla società civile – che talvolta è anche una bella parola – devono ripartire.
Per concludere: no, non siamo affatto peggio di altre città, a Brindisi si può girare la notte in sicurezza e vivere serenamente. E no, non c’è la voglia di parlar male per passatempo. C’è, al contrario, il desiderio di aprire una riflessione e lavorare, insieme, tutti, per far crescere – soprattutto nella mentalità e dal punto di vista culturale – la nostra città.
Andrea Lezzi (Agenda Brindisi – 17 dicembre 2021)
Brindisi vista da Roma / Dibattito aperto su cultura e vivibilità
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