Autore: IN EVIDENZA L'angolo della cultura

Quel politically troppo correct

Tema delicato, da prendere con le molle del buonsenso, quello del «politicamente corretto». Parlandone, si corre sempre il rischio di essere fraintesi. Il concetto e l’espressione, provenienti dall’area intellettuale angloamericana, risalgono al ‘68 ma assumono rilievo operativo soprattutto negli anni ‘80/90 quando, anche in Italia, si affermano quei principi di sensibilità sociale che promuovono valori antidiscriminatori tesi ad affermare il rispetto formale e sostanziale «erga omnes», abolendo in ogni forma di comunicazione pregiudizi razziali, sessisti, religiosi, etnici, di età, di genere, di disabilità e di orientamenti sessuali. Il dettato etico di quella nobile crociata si concretizza nel neo linguaggio adottato. In questo ambito sorgono i primi problemi: il ricorso a troppi eufemismi forzati determina una reazione di dissenso all’operazione di rinnovo lessicale. Se infatti sono accettabili alcuni termini soft quali «di colore» per «negro», «diversabile» per «disabile», «non abbiente» per «povero», «necroforo» per “becchino», «operatore ecologico» per «spazzino», quando si entra in certi campi le locuzioni attenuative si ammantano di sfumature grottesche. Così la «lucciola» si trasforma in «operatrice del sesso» e il «prostituto» in «ragazzo escort». Sulla stampa, in TV e in rete, «ragazzo» e non più delinquente è definito un giovane dai diciotto ai quarant’anni che commette un crimine o un «femminicidio», termine che, per razionale simmetria, dovrebbe lasciare il posto al più corretto «donnicidio». La furia riformatrice appannaggio di frange oltranziste, sfidando il senso del ridicolo, ha proposto varianti spinte oltre ogni limite. «Omaggio», ad esempio, trasformato nel neo vocabolo «donnaggio» in caso di dono ad una donna (sic!). Per non parlare della recentissima trovata dell’Ateneo di Enna che ha scritto al femminile il decreto per il voto studentesco. La lingua italiana non ha il «neutro» e quindi declina sempre al maschile, e non certo per … maschilismo. Va usato il maschile e il lemma «uomo» perché «homo» ha la medesima radice di «humanus» e di «humus», non si possono stravolgere lingua, storia e cultura! E come la mettiamo col termine «antropologia»? L’esasperazione del «politically correct» si manifesta anche con una peculiare forma di iconoclastia. La «Spigolatrice di Sapri» (foto), concepita come un’avvenente fanciulla dall’artista campano Stifano, ha suscitato reazioni integraliste. Laura Boldrini l’ha bollata definendola «un’offesa per tutte le donne» (e la pornografia, lo sfruttamento, la mercificazione in pubblicità, il concorso per «Miss culetto d’oro», non sono offese ben più gravi?). Mi domando poi che differenza ci sia tra questa «Venere Spigolatrice» e la «Venere di Milo», a meno di ammettere (clamoroso autogol) che esista un’arte … «degenerata». Più misura, care femministe, meno rigorismo e maggior rispetto anche per la libertà di pensiero e di espressione.
Gabriele d’Amelj Melodia

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