I tormentoni, si sa, nascono come i funghi e, proprio come i miceti, possono essere molto velenosi. E’ il caso degli inflazionati Chiedo per un amico, Di che stiamo parlando!, Non c’è problema, Andiamo a sbattere, Anche no, E quant’altro, Tra virgolette, Apperò, R.I.P. e il famigerato Piuttosto che usato «a garzetta». Il virus di questa morfologia di pappagallismo gregario si propaga nel circuito sociale al pari di altri perniciosi tic linguistici, gli intercalari, abusati sia in lingua italiana che in dialetto. Se nel lessico colloquiale e in quello scritto neopopolare dei social vanno considerati con una certa indulgenza, viceversa, nella comunicazione formale andrebbero sempre censurati. Invece, le interiezioni irriflesse che servono per lubrificare il flusso di parole, spuntano come i già citati funghi un po’ dovunque, perfino in quegli ambiti dove i locutori dovrebbero usare un registro linguistico adeguato: negli emicicli del Senato e della Camera, nelle aule giudiziarie, negli uffici pubblici, in radio e in televisione. Ma vediamo quali sono gli intercalari più amati dagli italiani. Intanto va ricordato che, al pari di tutte le forme della comunicazione scritta e orale, anche queste parole, o locuzioni «cuscinetto», seguono la moda e quindi mutano nel tempo. Nessuno oggi azzarderebbe vocaboli tipo Giustappunto, Nevvero, Accidenti, Accipicchia. Vanno ancora forte Oddio, Vivaddio, Quant’è vero Dio, Per l’amor del cielo (il motto preferito da Don Abbondio), Madonna Santa, Grosso modo, Insomma, Voglio dire, Come dire, Non so se mi spiego, Mi chiedo e ti domando, Capito?, E’ chiaro?, In parole povere, Cioè, Quantomeno, Naturalmente, Praticamente, In buona sostanza, Vabbè, E … niente, Ragazzi, e, in un crescendo di parole forti e incisive che non trascura esempi di puro idiotismo (nell’accezione linguistica), Cavolo!, Cacchio!, Cazzo!, Mestra!, Menchia!, E menchia Papa! Dulcis in fundo, ci sono i vezzi apri-discorso, anch’essi involontari e automatici, che mi verrebbe da definire «pre calari», visto che sono posti ad inizio di frase a mo’ di abbrivio.
In televisione infuria il morbo della risposta che si avvia con un bel «Guardi». Non c’è virologo, politico o guardia municipale che, alla domanda del conduttore, non parta con questa esortazione figurativa. Un tempo si usava Allora, Ebbene, o ancora, Senta e Veda. Il Cavaliere lanciò il famoso «Mi consenta», subito scimmiottato dai sui accoliti. Oggi è il momento del «guardi» che, ripetuto come un mantra, ha davvero stufato. Spero nell’evoluzione più prossima possibile: auspico l’avvento di un Osservi, di un Aguzzi la vista o , per gli amanti del barese, di un Alluzzi bene. I tempi sono maturi …
Bastiancontrario (Rubrica CONTROVENTO – Agenda Brindisi 20 novembre 2020)
Guardi, le parole sono importanti
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