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Versa una realtà jonico-salentina, col ritorno alla «Terra d’Otranto»

Chi non ha memoria non ha storia, chi non ha storia non ha futuro. Ignorare o non tenere conto di quanto fatto in precedenza non solo è uno vero spreco di risorse ma anche segno di poco senso pratico, non è molto logico privarsi degli indubbi vantaggi che si potrebbero avere. Se esistesse un minimo di memoria storica si saprebbe da quanto tempo si parla delle medesime tematiche, ahimè, senza concretizzarle. Almeno fino ad ora.
L’attuale cronaca vede protagonista il tentativo di dar corpo ad un piano articolato che possa garantire, tra le province e i comuni di Brindisi, Lecce e Taranto, una «programmazione d’area modulata in relazione ai punti di forza ed alle carenze delle singole zone e proporre programmi e progetti, in funzione di specifici obiettivi settoriali e filiere produttive». Le istituzioni locali in questo percorso sono sostenute dalla Università degli Studi del Salento che ha firmato anch’essa il protocollo d’intesa denominato «Terra d’Otranto: dalle radici il futuro», quasi un atto costitutivo di un’«area metropolita». La voglia, ma di questi tempi sarebbe meglio parlare di necessità, di una «collaborazione» tra le province di Brindisi, Lecce e Taranto per fare sistema, pare assumere una priorità particolare.
Un ritorno al passato? La denominazione scelta, «Terra d’Otranto», ci fa volgere lo sguardo in un passato alquanto remoto, rimandandoci nel periodo normanno del re Ruggero II, che istituì i giustizierati – denominati province nel periodo aragonese – dando un assetto territoriale, confermato poi da Federico II, finalizzato al controllo amministrativo del territorio e dettato anche da affinità storico-culturali. Dal 1663, con regio decreto, Matera venne distaccata e la terra d’Otranto prese quella conformazione che mantenne sino al periodo fascista allorquando venne divisa in province.
Se facciamo un passo indietro, più breve, negli anni ottanta, possiamo notare come questa problematica sia già stata affrontata nel tentativo di dare vita ad un progetto integrato cioè, secondo quanto si legge su una pubblicazione di Giulio Redaelli, alla «Costruzione della città jonico-salentina». Redaelli, autorevole architetto-urbanista e docente al Politecnico di Milano, fu il capogruppo di quella squadra di professionisti, tra cui Giorgio Goggi dell’Università di Milano, che realizzò il Piano Regolatore Generale della città di Brindisi, redatto alla fine degli anni ’70. Nonostante fosse originario della Brianza, fu un appassionato, competente ed perspicace meridionalista, autore, nei primi anni ’80, di due importanti piani che ci riguardavano molto da vicino, il «Progetto transfrontaliero italo-greco» e, appunto, il «Progetto di sviluppo jonico-salentino». Redaelli ammoniva che «è escluso che possa trattarsi di un processo spontaneo. Sarà invece determinato da volontà politica, da un nuovo orizzonte meridionalistico che assuma a livello europeo, con le appropriate aperture nord-sud, sviluppo e decollo di aree affacciate sullo Jonio e sul Mediterraneo orientale. Dovrà quindi puntare sul pieno utilizzo non soltanto delle risorse locali del Salento ma anche della risorsa europea Salento. In particolare in un sistema euro-afro-mediorientale, aperto all’integrazione economica e ad uno scenario di sviluppo»
L’idea di Redaelli, che in quel particolare periodo poteva apparire avveniristica, quasi visionaria, dopo quasi quarant’anni, appare, al contrario, quanto fosse evoluta e anticipatrice dei tempi. Ma oggi, come già detto, diventa una prioritaria necessità per non farsi sopravanzare da territori più organizzati. Un banco di prova potrebbe essere la prossima programmazione europea 2021-2027 che costituirebbe anche il banco di prova per verificare la reale volontà dei tre centri salentini di procedere insieme per rendere più forte e competitivo tutto il territorio. La posta in gioco è molto alta e la sua attuazione dipende esclusivamente da una forte e decisa volontà politica di stare insieme per perseguire risultati che, singolarmente, sarebbero irraggiungibili. Dovremmo essere attenti ed essere sempre pronti a sollecitare il perseguimento di tali obiettivi considerato che quell’idea, negli anni ottanta, fu sviluppata proprio a Brindisi e perchè può aprire scenari straordinari per tutti.
Quel progetto aveva già compiuto un notevole percorso burocratico e oggi potrebbe convenire riprenderlo per poter, appunto, utilizzare ciò che ancora oggi può essere utile. Sprecare i risultati di quello studio, condotto da un gruppo di validissimi e autorevoli professionisti, potrebbe apparire incomprensibilmente poco accorto. Volendo farlo sarebbe sufficiente rivolgersi ad uno dei protagonisti di allora, l’architetto Antonio Bruno, all’epoca assessore regionale all’industria che, immagino, sarebbe ben lieto di condividere quella lungimirante esperienza.

Giorgio Sciarra (Rubrica ZONA FRANCA – Agenda Brindisi – 6 novembre 2020)

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