Autore: Controvento Rubriche

Scusate, il Covid mi rende nervoso

Non voglio parlarvi dei problemi legati alla pandemia, perché penso che siate saturi di notizie e commenti che il circo mediatico ci propina ogni giorno e per tutto il giorno. Vorrei piuttosto intrattenervi sulle conseguenze che le preoccupazioni dell’infezione vagante arreca ai nostri nervi. Si verifica un vero e proprio corto circuito.
Quando eravamo spensierati, senza l’assillo del morbo infido, tutto sommato riuscivamo a superare le piccole contrarietà, i fastidi, i disagi. Ma, dal marzo scorso, almeno per il sottoscritto, è diventato impossibile non soffrire di sindrome da Covid. Perciò finisco per essere intollerante a tutto, io che prima non lo ero nemmeno al lattosio. Già sul pianerottolo di casa, appena sto con l’indice a dieci centimetri dal bottone di chiamata dell’ascensore, questo subito diventa rosso, costringendomi ad un’attesa che mi sembra pari a quella che farò al supermercato. Lì c’è un angelo custode all’ammersa che mi consiglia sempre la fila sbagliata, quella in cui una pazza scatenata ha riempito il carrello come fosse un cargo dell’Onu. E se mi azzardo a cambiare fila spostandomi alla cassa vicina, mettiamo la tre, subito dopo una voce invisibile spargerà per l’aere l’infausta novella «Chiudiamo cassa tre …». E io giù parolacce. Non è che le cose storte si verificano sempre tutte in un giorno, quello no, altrimenti sarei andato a baciare in bocca la De Girolamo per prendermi un bel Covid e farmi ricoverare, no, succedono così, con casualità. Per esempio, spesso al bar incontro qualcuno a cui ho offerto due caffè di fila. Ci salutiamo e aspetto e spero ma l’ora non si avvicina. Rassegnato, finisco per offrigli anche il terzo caffè, mentre il barman si esibisce in un assolo di batteria, con loop eseguiti con tazzine da caffè … E’ come se un gatto si facesse le unghie sulla teca in vetro che custodisce i resti del mio vecchio cervello …
E che dire dei semafori? Io non ce l’ho col rosso, che almeno è sincero e fa il suo mestiere. Ce l’ho col giallo che è un colore infame (infatti nell’antichità era il colore degli abiti di traditori, usurai, prostitute). Si fa subito notare da lontano e sembra dirti «Dai, su coraggio, vieni, accelera che ce la fai!». E se tu abbocchi, quando sei a quattro metri dalla meta, zacchete, diventa subito rosso!
Prima della pandemia, sopportavo meglio ma ora … Prendete la figura del «lento parcheggiatore», un classico del cacazzismo urbano. Devi posteggiare. E’ la terza volta che fai il giro dell’isolato quando vedi un paio di luci di posizione che si accendono facendoti l’occhiolino. Freni di colpo come se stesse attraversando un elefante e accosti quatto quatto sulla destra. Attendi con pazienza e educazione per non perdere la priorità acquisita. Dopo sei minuti hai perso tutti questi requisiti, smadonni, hai la bava boccale e dai vigorose clacsonate. Ma la lumaca ancora non si muove. Poi finalmente, dopo aver messo la cintura, sistemato lo specchietto, inserito la sicura, infilato gli occhiali, regolato il sedile e l’anima di mammisa, parte a singhiozzo zigzagando come una motorino qualsiasi. Di peggio ci sono solo i monopattinari cerebrolesi, quelli che filano come non fossero per strada ma in un videogioco. E per ora le avventure dell’uomo stressato terminano qui.
Bastiancontrario (Rubrica CONTROVENTO – Agenda Brindisi – 23 ottobre 2020)

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