Che ci sarò andata a fare a Parigi? Città incantevole, meta turistica per antonomasia, capitale dell’amore, luogo simbolico più che reale. Fino a qualche mese fa la domanda «che ci vai a fare a Parigi?» sarebbe risultata oziosa se non ingenua. Ma oggi no, non in questo periodo in cui nella capitale dell’amore, l’amore non si può più tanto fare, stretta com’è nella morsa di un virus ben più dannoso.
Non ero in vacanza, avevo «impegni» sulla Rive Gauche, che detto così fa tanto esistenzialista, e in effetti, forse, con una interpretazione un po’ estensiva, i miei «dafare» potremmo anche definirli tali. Ho fatto giusto in tempo, per rimanere in tema di esistenzialisti, a gustare noisette e torta al Café de Flore, tappa obbligata per chi voglia respirare gli stessi luoghi e sedere negli stessi posti di Sartre, della de Beauvoir e Merleau-Ponty, che nella metà del secolo scorso discorrevano a quei tavolini di politica e di filosofia.
Appena in tempo perché, rientrata in Italia, ho letto la notizia che a Parigi, per fronteggiare una situazione sempre più grave, non basterà più il coprifuoco alle 22.00, ma chiuderanno, ahimè, café e brasserie.
Un altro duro colpo all’immagine e al cuore pulsante di una città che si sta ripiegando su se stessa. Il Covid avanza, e i francesi stanno più indietro, ma anche più avanti rispetto a noi. Più avanti perché la mascherina, da noi obbligatoria all’aperto solo da pochi giorni, per loro è una norma di condotta. Già all’accoglienza nella navetta dell’aeroporto un controllore in divisa, un nero corpulento, arringava i passeggeri per spiegare la «buona educazione». E nei modi aveva poco di educato e molto di impositivo, ha chiesto più volte, al termine della sua «lezione» se «le message est passé», «est passé??» … anche chi non conosceva il francese ha capito e intimorito ha fatto sì con la testa, è passato, certo che è passato!
Ma sono anche molto indietro rispetto a noi. Indietro nella curva del contagio, ancora in fase crescente, indietro nelle misure di prevenzione e nelle restrizioni.
La vita quotidiana ancora non si è adattata all’online. Resiste imperterrita alla burocrazia in presenza, con sistemi per noi obsoleti. Le scuole e le università regolarmente funzionanti, solo dei contingentamenti negli uffici ma senza alcun sistema innovativo di disbrigo delle pratiche.
E’ di questi giorni la notizia che le Università chiuderanno, ma significa solo che gli studenti seguiranno le lezioni a settimane alternate, senza una ipotesi di didattica a distanza. Insomma, dalla mia limitata esperienza mi sembra di aver trascorso una settimana a Parigi per degli adempimenti che in Italia avrei svolto online o in tempi più brevi.
Forse saremo stati troppo drastici nella lotta al virus, essere il primo Paese dell’occidente colpito dal Covid ci ha colto impreparati e non abbiamo potuto fare altro che chiudere chiudere chiudere.
Ma insomma, oltre ad essere popolo di poeti santi e navigatori, conserviamo lo spirito dell’arrangiarsi, dell’adattarsi, del reagire e andare avanti, magari con una bella battuta liberatoria (a proposito che fine hanno fatto i divertentissimi meme del lockdown?)
Valeria Giannone
Parigi val bene una mascherina
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